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VIBO VALENTIA – Lo schianto improvviso e violento. Le urla di disperazione, la corsa in ospedale, la paura che toglie il respiro. Poi l’intervento salvavita, il lungo e sofferto decorso post-operatorio… e quella luce in fondo al tunnel, dapprima flebile e fredda, che diviene sempre più intensa e rassicurante.
Un incidente stradale è sempre un’esperienza sconvolgente e traumatica. Tanto più se a subirlo è una bambina di cinque anni. Che, nella sua fragilità, ha dimostrato un immenso coraggio. Affrontando la prova più dura della sua giovane vita senza poter avere con sé la sua famiglia. Anch’essa coinvolta, con conseguenze serie, nello stesso incidente stradale.
Ma la piccola, nel suo sofferto cammino ha incontrato quella che per un breve tratto è divenuta la sua seconda famiglia: il personale ospedaliero dello Jazzolino di Vibo. Che si è speso in ogni singolo momento, prima per sottrarla alla morte, poi per alleviare quel pianto inconsolabile dovuto alla grande paura e alla ancor più insopportabile mancanza degli affetti più cari.
Questa è la storia di un piccolo grande miracolo. Ed è una storia di buona sanità.
Tutto ha inizio il primo marzo di quest’anno, quando la famiglia di Serena (il nome è di fantasia) resta coinvolta in un pauroso incidente stradale mentre viaggia verso Pizzo. Quella che doveva essere una giornata di svago si trasforma in tragedia. I sanitari accorsi sul posto si rendono subito conto che le condizioni più serie sono proprio quelle della bambina che nell’impatto riporta un importante politrauma addominale che le causa una lesione alla milza e un’emorragia interna.
Giudicata a rischio vita, e perciò intrasportabile in altre strutture, Serena passa dal pronto soccorso direttamente alla sala operatoria, dove viene sottoposta d’urgenza all’intervento condotto dal primario di chirurgia Franco Zappia, richiamato in servizio nonostante il giorno festivo (a Vibo era festa patronale). Così come l’anestesista Giuseppina Russo e la radiologa Matilde Lico. Tutti accorsi senza esitare per quello che fin dal principio si prefigura come un caso disperato.
Mamma e sorellina, in condizioni serie, vengono invece trasferite a Catanzaro. Il padre viene ricoverato anch’egli a Vibo, con vari traumi. Serena subisce l’asportazione della milza. La sua vita, però, è ancora in pericolo a causa di una setticemia e delle difficoltà che i medici incontrano ad alimentarla.
Viene così presa in carico dal reparto di rianimazione guidato dal primario Peppino Oppedisano.
In più, sul piano psicologico la piccola ha di fronte un ostacolo mostruoso: da sola in un ambiente estraneo, senza poter vedere la sua mamma.
Ci pensano i sanitari a rassicurarla, a farle da mamme e da papà, ad offrirle un conforto che va oltre il dovere della cura. Dopo cinque giorni di buio, Serena vede la luce del reparto di pediatria guidato dal primario Salvatore Braghò. Qui è il tutto il personale a mobilitarsi per regalarle un sorriso e per alleviare la sua convalescenza mentre domanda insistentemente della madre, ancora ricoverata nel capoluogo di regione.
«Il reparto le ha fatto da famiglia, le infermiere da mamme – spiega il direttore Braghò -, ma in questa dolorosa vicenda è l’intero sistema ospedaliero ad aver funzionato. Dai soccorritori agli infermieri, ai colleghi che sono intervenuti nei momenti decisivi, lo Jazzolino ha fatto sì che la bambina si salvasse. Perché l’hanno salvata Gesù bambino e l’ospedale Jazzolino…» afferma il primario.
Il sistema «ha funzionato con il contributo di tutti – insiste Braghò -. A noi come reparto è toccato gestire la delicatissima fase post-operatoria in cui la bambina era ancora a rischio per fattori sia medici che psicologici, ma quando ci è stato chiesto di farcene carico non abbiamo esitato. Ci siamo confrontati anche con il Bambin Gesù di Roma durante le cure, ottenendo la conferma di essere sulla strada giusta».
Non c’è dubbio: «È una testimonianza di buona sanità. Non del singolo o del reparto in sé ma di un intero sistema ospedaliero che ha risposto all’emergenza con professionalità, perizia e umanità. E questo non fa che rendermi orgoglioso dei miei colleghi e dell’intera struttura» asserisce Braghò.
Da qualche tempo, dopo i giorni della sofferenza e della paura, Serena ha potuto riabbracciare la sua mamma e tutta la famiglia, grata per lo scampato pericolo. Una riconoscenza che il papà, a nome di tutti, indirizza soprattutto agli angeli che hanno avuto in custodia la bambina e l’hanno sottratta a un destino che appariva segnato.
«Sono commosso da quando è stato fatto dai medici dell’ospedale di Vibo – riferisce -. Al dottor Braghò, ai primari Zappia, Oppedisano, Baldari, agli altri medici e agli infermieri voglio solo manifestare la nostra più grande riconoscenza e stima, oltre che per la loro grande professionalità anche per l’immensa umanità e disponibilità che hanno dimostrato. Si parla spesso di malasanità – conclude il papà di Serena -, ma posso testimoniare in prima persona che esiste anche la buona sanità e che i nostri medici non sono inferiori a nessuno».
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