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SVOLTA nelle indagini per l’omicidio di Bruno Lazzaro, avvenuto il 4 marzo del 2018, in località Fago Savini. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che ha disposto nei giorni scorsi una serie di accertamenti da parte del Ris dei carabinieri di Messina, ha iscritto nel registro degli indagati otto persone, ritenute coinvolte, con ruoli diversificati, nella vicenda.

Si tratta di Gaetano Emanuele, 46 anni, considerato dagli investigatori ai vertici dell’omonima consorteria unitamente al fratello Bruno, Luca Ciconte, 29 anni, già noto alle forze dell’ordine e ritenuto legato al clan Soriano di Pizzinni di Filandari, già condannato nel processo “Nemea”; Franco Idà, 56 anni, di Gerocarne, altro soggetto che farebbe parte del gruppo degli Emanuele; Michele Idà, 24 anni, di Soriano; Giovanni Alessandro Nesci, 31 anni, di Soriano; Antonio Raffaele Pisani, 23 anni, di Soriano, Angela Vono, 41 anni, di Lodi ma residente a Gerocarne e Domenico Zannino, 32 anni, di Sorianello.

Nell’atto di sei pagine, vergato dal pm antimafia Annamaria Frustaci, vengono quindi evidenziate tutte le condotte che sarebbero state messe in atto dagli indagati nell’uccisione del 27enne. Si tratterebbe, in buona sostanza, di un omicidio passionale ma di stampo mafioso.

Una circostanza che apre un nuovo spaccato su un fatto di sangue che fino ad ora era rimasto perimetrato nell’ambito della procura ordinaria e che aveva portato, poco tempo addietro, alla condanna di Gaetano Muller, cugino della vittima, alla pena di 16 anni in Appello.

Nello specifico: Ciconte, Emanuele, i due Idà, la Vono e Zannino, in concorso tra loro e con «più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso, tra il 6 maggio 2017 e il 4 marzo 2018, dapprima cagionavano a Lazzaro delle lesioni personali consistite in un trauma contusivo all’avambraccio sinistro, al fine di costringerlo ad interrompere la relazione sentimentale intrattenuta con la figlia di Bruno Emanuele, non gradita alla famiglia, anche a seguito del fidanzamento della ragazza con Muller»; successivamente, avrebbero messo in atto una serie di condotte dirette ad imporre al 27enne l’allontanamento dalla Calabria, rivolgendogli minacce per la sua incolumità».

Circostanza che vede contestare l’aggravante mafiosa per «aver agito, gli indagati, al fine di agevolare l’attività della ’ndrina Emanuele, inserita nella Locale di Ariola».

L’altra contestazione attiene proprio l’uccisione di Bruno Lazzaro. Sempre secondo quanto riportato nel decreto, Gaetano Emanuele, Franco Idà, Angela Vono, Domenico Zannino sarebbero stati i mandanti dell’omicidio che sarebbe stato materialmente seguito da Michele Idà e Antonio Raffaele Pisani in concorso con Gaetano Muller. I tre avrebbero «attirato Lazzaro fuori dalla sua abitazione al fine di “dargli una lezione”, poiché questi, contravvenendo agli ordini ricevuti, era rientrato in Calabria da pochi giorni ed aveva ripreso i rapporti con la ragazza. La scusa addotta dagli indagati era la necessità di un chiarimento con la vittima che fu condotta presso la casa di Pisani dove, una volta giunti, Muller, nel corso della discussione, colpì Lazzaro con un pugnale, trasportando quest’ultimo, con l’aiuto degli altri, a bordo dell’auto intestata a Pisani presso l’abitazione della Vono (madre della giovane contesa, ndr), dove, una volta giunti, ritardarono nel contattare i soccorsi, cagionando, in tal modo, la morte del 27enne».

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Francesco Ridolfi

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