Bartolomeo Arena
4 minuti per la letturaTRA i numerosi pentiti che puntellano l’inchiesta “Imponimento” vi è anche Bartolomeo Arena che agli investigatori della Dda di Catanzaro e della Guardia di Finanza racconta tutto quello che sa della cosca Anello e dei legami con altri sodalizi criminali del territorio vibonese. “Vartolo”, il soprannome del pentito 43enne, nei vari verbali riferiva degli interessi criminali gestiti a Pizzo da Domenico Pardea con l’avallo di Rocco Anello: «Domenico Pardea di Pizzo, fratello del contabile Antonio Macrì, gestiva il territorio cittadino, era in ottimi rapporti con il boss Rocco Anello, commetteva estorsioni anche per conto di quest’ultimo; a Pizzo comanda Rocco Anello che ha ceduto una parte di quel territorio ai Bonavota i quali sono interessati a lavori su Pizzo eseguiti da Peppe Fortuna; inoltre sta cercando di ritagliarsi un proprio spazio criminale anche Salvatore Mazzotta che fa parte dei Piscopisani; in virtù del suo ruolo, Pardea è entrato in contrasto con i Bonavota in alcune occasioni».
Successivamente, Arena, riferendosi al predominio criminale esercitato dalla cosca “Anello” sempre sul territorio napitino, precisava che in passato ciò avveniva tramite l’imprenditore Mallamace: «…Gli Anello avevano precedentemente un loro sodale di fiducia su Pizzo quale era Francesco Mallamace di Vibo, ma quest’ultimo nel corso di un processo utilizzò una strategia difensiva (forse un patteggiamento) che non piacque a Rocco Anello, il quale lo allontanò dalla propria consorteria. Tale imprenditore successivamente entrò nelle grazie di Giuseppe Fortuna e quindi di Domenico Bonavota, cosa che non gradì Anello. I Bonavota per il tramite del Mallamace effettuarono numerosi lavori su Pizzo, dove tuttavia è maggiore l’influenza di Anello, pertanto quel territorio se lo spartiscono i due gruppi».
Secondo Arena lo spessore criminale di Rocco Anello, nell’ambito della criminalità organizzata vibonese vibonese, era eguagliato soltanto da quello di Saverio Razionale e Peppone Accorinti , tanto da godere della stima di Luigi Mancuso che sedeva al di sopra di tutti: «Rocco Anello è un soggetto che fin da minorenne è stato in carcere, è un boss molto temuto, uno stratega che sa tessere molto bene la tela delle alleanze mafiose (ad esempio con boss del calibro di Vito Tolone di Vallefiorita e Damiano Vallelunga di Serra, entrambi deceduti, mentre lui è ancora sulla cresta dell’onda).
È in ottimi rapporti con Luigi Mancuso, cosi come con la famiglia Iannazzo di Lamezia. Si tratta di un boss molto intelligente e scaltro che si fa rispettare ma non rovina mai i rapporti con le altre consorterie criminali operanti nei territori limitrofi alla sua area di influenza e sa quando defilarsi, soprattutto se intuisce possibili conflitti. Rocco Anello, unitamente a Saverio Razionale e Peppone Accorinti, sono i tre boss più temuti della provincia vibonese e più tenuti in considerazione da Luigi Mancuso».
Il pentito parlava poi del territorio d’influenza della cosca Anello che comprendeva centri del Vibonese e della piana di Lamezia ed esercitava il controllo delle forniture di beni e servizi nonché delle assunzioni di personale nei villaggi turistici ricadenti nella sua zona d’influenza: «…L’area di influenza criminale di Rocco Anello si estende nei comuni limitrofi a Filadelfia, ovvero Polia, Curinga, Acconia e si estende fino al territorio di Lamezia, oltre a quanto ho già detto sull’influenza criminale di Rocco Anello sul territorio di Pizzo, […] Su tutta la zona di influenza egli ha interessi nelle più importanti attività imprenditoriali. Ho saputo da Francesco e Giuseppe Fortuna di Sant’Onofrio, che tutti i villaggi turistici presenti nella zona Colamaio a Pizzo, compresi quelli dei fratelli Stillitani, sono sotto l’influenza criminale di Anello, questo per quanto riguarda sia le forniture, che il servizio lavanderia e l’assunzione di personale. Sono a conoscenza, per averlo appreso da Peppe Fortuna, a sua volta collegato all’imprenditore Mallamaci, che Rocco Anello aveva interesse nel settore dell’eolico; negli anni 2008-2009, nella zona di Filadelfia, dove ha fatto installare numerosi pali, anche Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli, hanno effettuato dei lavori con un furgone e mi hanno confermato che quel settore era sotto l’egemonia di Rocco Anello».
Secondo Arena anche «Tommaso Anello, fratello di Rocco, fa parte del medesimo sodalizio criminale (circostanza appresa da Domenico Camillò’ e da Antonio Macrì), così come i fratelli Vincenzino e Pino, se non ricordo male il nome di quest’ultimo, Fruci. Un tempo di questa struttura criminale facevano parte anche i Fiumara di Francavilla Angitola, ed in particolare Claudio e Danilo Fiumara, ma che io sappia al momento si sono un po’ allontanati da loro».
Un boss, Anello, che ha improntato la sua “politica criminale” alla efficienza ed alla prudenza, «prediligendo – racconta ancora Arena – la qualità alla quantità degli affiliati, non ci tiene a rimpiazzare continuamente nuovi affiliati, anzi preferisce fidarsi di una cerchia ristretta di sodali fidatissimi, anche per limitare i danni di eventuali pentimenti. Anche per questo si sa molto poco della sua compagine e delle sue attività».
Sempre il collaboratore racconta, per averlo appreso da Francesco Antonio Pardea, che i fratelli Fruci «erano il braccio armato della cosca, ed in particolare Pardea mi raccontò un episodio relativo all’omicidio di Santo Panzarella in relazione al quale mi ha fatto capire che le responsabilità dell’agguato erano da attribuire proprio a loro».
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