L'auto distrutta a Limbadi
5 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Mentre proseguono le indagini per scoprire autore e movente dell’attentato esplosivo che ha portato alla morte di Matteo Vinci di 42 anni e al ferimento del padre Francesco 73 anni (LEGGI LA NOTIZIA) il giudice per le indabini premilinari di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, ha convalidato l’arresto di Domenico Di Grillo, il 71enne di Limbadi fermato dai carabinieri con l’accusa di detenzione illegale di un fucile e del relativo munizionamento (LEGGI LA NOTIZIA DEL SUO ARRESTO).
L’arresto di Di Grillo è stato eseguito nell’ambito dei controlli effettuati subito dopo l’esplosione dell’autobomba in cui è morto Matteo Vinci. Il Gip, accogliendo l’istanza del difensore di Di Grillo, l’avvocato Giuseppe Di Renzo, ha disposto per l’uomo la detenzione domiciliare. Il pubblico ministero Ciroluca Lotoro aveva invece chiesto per Di Grillo la custodia cautelare in carcere.
Domenico Di Grillo è cognato dei boss della ‘ndrangheta Giuseppe, Pantaleone, Diego e Francesco Mancuso, avendo sposato Rosaria Mancuso, loro sorella ed il cui terreno confina con quello di Matteo e Francesco Vinci. Con la vittima Di Grillo ha avuto problemi, scaturiti anche in una rissa, alcuni anni fa (LEGGI LA NOTIZIA DELLA RISSA).
Sul fronte indagini, intanto, gli inquirenti hanno individuato il sistema utilizzato dagli attentatori per far esplodere l’autobomba. Secondo quanto scoperto dagli inquirenti, infatti, per far esplodere l’auto di Vinci sarebbe stato utilizzato un radiocomando a distanza che ha attivato l’ordigno, collocato sotto la vettura dei Vinci, ad una certa distanza. Per quanto riguarda l’esplosivo al momento si esclude l’utilizzo di tritolo privilegiando, invece, quello di un’altra particolare miscela. Ulteriori approfonditi esami per risalire all’esplosivo utilizzato sono in corso da parte degli artificieri dei carabinieri.
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La bomba che ha dilaniato il corpo di Vinci è stata posizionata all’altezza del sedile lato guida sul fondo della Ford Fiesta intestata alla vittima. Stamani è stata eseguita l’autopsia sul corpo di Matteo Vinci disposta dalla Procura distrettuale e affidata dall’anatomopatologa Katiuscia Bisogni.
ALMENO UN MESE PRIMA DEI FUNERALI DI MATTEO VINCI
Per quanto riguarda le esequie della vittima, secondo quanto appurato, sarà necessario almeno un mese perché possano essere celebrati. Lo sblocco della salma, con la consegna ai familiari, è impedito, infatti, dalla necessità di effettuare ulteriori esami clinici e tecnici finalizzati ad individuare la tipologia esatta di esplosivo utilizzato per confezionare l’ordigno. L’autopsia sul cadavere di Matteo Vinci, eseguita stamattina, si è protratta per circa tre ore e mezza, ma gli accertamenti medico-legali proseguiranno nei prossimi giorni, presumibilmente con il supporto di uno specialista. Migliorano, intanto, le condizioni di Francesco Vinci, ricoverato nel Centro grandi ustionati di Palermo. Anche se i medici non hanno ancora sciolto la prognosi, Vinci, secondo quanto ha riferito l’avvocato Giuseppe De Pace, legale della famiglia, non sarebbe più in pericolo di vita.
L’APPELLO DI LIBERA
«Altro sangue a testimoniare il clima di forte tensione, di difficoltà e delicatezza che interessa la provincia di Vibo Valentia, dove si continua ad uccidere posizionando un ordigno sotto un automobile».
Il coordinamento di Vibo Valentia dell’associazione Libera si rivolge agli inquirenti auspincando «una risposta chiara e forte da parte dello Stato che deve stare vicino a chi, come Matteo, decide di affiancarlo nella lotta contro i soprusi della ‘ndrangheta, contro le malefatte e contro l’orrore e la prepotenza bruta che impera ancora sul territorio. C’è chi denuncia, chi decide di non piegarsi ma anzi di tenere la schiena dritta e di ripudiare la deformante giuridica emanata dalla ‘ndrangheta, quella legge dell’omertà, del silenzio cupo e dell’obbedienza che le ‘ndrine vorrebbero ergere a costituzione e che, per troppo tempo, ha trovato radici solide e penetranti».
Ma Libera, alla luce della gravità dell’attentato, si cheide anche «Qual è il vero prezzo che quel mondo fatto di silenzi e sudditanza dava a quegli ettari di terreno? Un messaggio di morte da chi – sostiene ancora Libera Vibo Valentia – vuole fare mostra in modo eclatante della propria presenza. Presenza che forse, inizia ad essere disconosciuta, potere che forse, inizia ad essere bestemmiato e vacilla. Nervosi e febbrili, vedono il loro campo restringersi grazie al lavoro immane che in questi mesi soprattutto, le forze dell’ordine stanno svolgendo. Ma pensiamo che stia iniziando a sollevarsi rispetto al passato anche una reazione da parte dei cittadini e delle cittadine, di chi non rimane inerme di fronte alla violenza nefanda ma vuole liberare se stesso e purificare i luoghi dallo stigma di terra di ‘ndrangheta, con dignità e caparbietà, iniziando ad assaporare il piacere dell’onestà. Tutto questo non è bastato però ad evitare l’atto sanguinoso che ha lasciato tutti sgomenti, allora siamo inevitabilmente chiamati a fare un atto di mea culpa e ad assumerci la nostra parte di responsabilità perché se Matteo ha perso la vita, forse, non ha avuto l’appoggio e il sostegno di cui aveva bisogno, forse ancora in terra di Calabria, sono pochi e poche i Matteo che per amore, non cedono».
Per Libera Vibo comunque c’è «una piccola luce di speranza ma non basta a riscrivere la nostra storia. Siamo chiamati a far sì che quella piccola luce, diventi un sole nuovo dal bagliore accecante e sancisca il foedus tra Istituzioni e popolo, di impegno comune per un domani senza più sangue. Il rumore dell’autobomba deve arrivare nelle nostre case, rompere i nostri vetri, entrare prepotentemente nelle nostre teste e nelle nostre coscienze per alimentare l’indignazione, perché la resistenza civile deve incrementare la sua forza anche e soprattutto per Matteo e la sua famiglia, che ci danno un grande esempio di umiltà e di coraggio, di rivendicazione e difesa dei propri diritti».
«Al simbolismo dissacrante della ‘ndrangheta – conclude la nota di Libera – ha risposto con umanità disarmante Rosaria, la mamma di Matteo, dicendo di non aver paura. Adesso tocca a noi: questo è il momento di metterci la faccia e di far vedere che comunità siamo ma soprattutto che comunità vogliamo essere».
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