La questura di Vibo Valentia
4 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Gli uomini della squadra mobile di Vibo Valentia e del commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio centrale operativo di Roma e del Reparto prevenzione crimine di Vibo Valentia, la scorsa notte, hanno eseguito un decreto di fermo, emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nell’ambito dell’operazione “Black Widows”, nei confronti di sette indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi, rubate o a canne mozze, oltre che di ricettazione: reati tutti aggravati dal metodo mafioso.
I fermati sono Vincenzo Cocciolo 30 anni di Sorianello, Antonio Farina, 42 anni, di Soriano, Michele Nardo 36 anni, di Sorianello, Giuseppe Muller, 21 anni, di Sorianello, Domenico Inzillo, 63 anni, di Sorianello, Viola Inzillo, 52 anni, di Sorianello (Madre di Bruno Lazzaro), Rosa Inzillo, 50 anni, di Sorianello queste ultime sono sorelle di Salvatore Inzillo (SCOPRI I CONTENUTI SULL’OMICIDIO DI SALVATORE INZILLO).
Le indagini, dirette dai sostituti procuratori della Dda Annamaria Frustaci e Filomena Aliberti, coordinate dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal procuratore capo Nicola Gratteri, sono scaturite dal tentato omicidio di due fratelli, il 28 luglio 2017 (LEGGI LA NOTIZIA), uno dei quali minorenne affetto da sindrome di down e l’altro era Giovanni Alessandro Nesci, ed hanno fatto luce su uno spaccato della attuali dinamiche criminali dell’entroterra vibonese, piagato oramai da decenni dalla contrapposizione, nota alla cronaca come “faida dei boschi” e già costata diverse decine di morti, che vede impegnate nella contesa per il controllo del territorio le famiglie Loielo ed Emanuele-Maiolo.
LEGGI DEL PRIMO AGGUATO A NESCI DELL’ APRILE 2017
Dalle indagini sono emersi, riferisce la polizia, “i complessi equilibri che portarono alla consumazione dell’agguato mafioso” nel quale rimasero gravemente feriti i due fratelli “dipingendo un quadro a tinte fosche fatto di trame ordite, senza soluzione di continuità, dagli Inzillo, contigui agli Emanuele” per arrivare all’eliminazione della controparte, “espressione invece della famiglia Loielo”.
LEGGI LA NOTIZIA DELL’AVVIO DELLE INDAGINI
SUL DUPLICE TENTATO OMICIDIO NESCI
Come spiega la polizia, sullo sfondo del progetto criminale ha trovato poi sfogo l’operato delle «donnE della famiglia Inzillo: operato che si è contraddistinto per l’inusitata violenza delle affermazioni, per la determinazione evidenziata nei propositi omicidiari, per il costante incentivo all’azione assicurato in favore dei maschi buonI della famiglia (ossia gli uomini capaci di commettere le azioni delittuose) nonché per l’apporto che in prima persona le stesse hanno garantito nella custodia delle armi».
Non hanno infatti esitato «a coinvolgere anche l’anziana madre», che è stata indotta dalle figlie a nascondere una pistola nella propria biancheria intima, al fine di fugare eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine.
Il commento degli inquirenti
«Non è un caso che siamo di nuovo qui, oggi, a Vibo Valentia ma perché ciò rappresenta l’ennesima tappa di un progetto di sicurezza che abbiamo avviato da un anno e mezzo a questa parte in questa porzione di territorio calabrese». A sostenerlo è Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, nel corso della conferenza stampa indetta a seguito dell’operazione “Black Windows”.
«Gente – ha aggiunto Gratteri – che si stava organizzando per uccidere ed inserita in una zona caratterizzata da focolai di ‘ndrangheta. Il nostro compito è quello di rispondere e soprattutto prevenire la commissione di delitti, come in questa occasione. Vibo resta al centro dell’attenzione della Dda ed è sintomatico che sette nuovi ispettori siano stati destinati alla squadra mobile vibonese».
Per il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri «è stato necessario intervenire perché la situazione che si stava incancrenendo ha trovato poi un momento acuto di tensione in una serie di azioni delittuose: dal tentato omicidio di Alessandro Nesci all’agguato consumato ai danni di Salvatore Inzillo e a quello ancora ai danni sempre di Nesci».
Lo stesso Bombardieri ha parlato del «validissimo coordinamento di polizia giudiziaria ad opera dei pm Frustaci e Aliberti, che ha portato a far emergere la presenza di uno stato di tensione che si alimentava e veniva alimentato con profondo odio in maniera particolare dalle donne della famiglia nei confronti di Nesci, legato al gruppo dei Loielo, ritenuto il responsabile del delitto di Inzillo».
Nell’operazione sono stati impegnati circa 100 uomini. Per il questore Filippo Bonfiglio si è trattato della «conclusione di un’attività complessa, caratterizzata sempre da grande allarme a causa della costante sensazione che le persone indagate volessero effettivamente vendicare a tutti i costi l’uccisione del congiunto colpendo l’intero nucleo familiare dei Nesci. Avevano anche effettuato – ha aggiunto il Questore – la realizzazione di poligoni all’aperto per addestrarsi, sottrazione di telecamere e microspie che non avevano scoraggiato i propositi omicidiari».
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