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Il luogo dell'omicidio di Vincenzo Di Costa

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La Corte d’Assise pronuncia sentenza di assoluzione per Filippo Saragò, accusato dell’omicidio di Vincenzo Di Costa, avvenuto ben 15 anni fa a Tropea. Accolte le richieste della difesa dell’imputato ma anche il pm aveva chiesto un verdetto simile. Le contestazioni non hanno quindi retto al vaglio del magistrato


VIBO VALENTIA – La Corte d’Assise di Catanzaro (presidente Forciniti) ha pronunciato sentenza di assoluzione, “per non aver commesso il fatto”, per Filippo Saragò, 40 anni, di Tropea per l’omicidio di Vincenzo Di Costa, avvenuto a colpi di pistola nel rione Campo di Sotto, alle case popolari, a Tropea, la sera 23 marzo 2010. Accolte dunque le argomentazioni avanzate dagli avvocati Sandro D’Agostino e Giovanni Vecchio; tuttavia anche la Procura aveva chiesto l’assoluzione per l’imputato. Il 46enne stava parcheggiando il ciclomotore nel piazzale antistante la propria abitazione quando fu raggiunto da numerosi colpi di pistola.

UN OMICIDIO DI 15 ANNI FA E L’IMPUTAZIONE COATTA

Un delitto che risale a 15 anni fa e per il quale non c’è al momento un responsabile. Nel 2022 il gip distrettuale Pietro Carè, respingendo la richiesta di archiviazione presentata a suo tempo dal Pm, dopo l’opposizione presentata dalla Procura di Vibo, aveva disposto l’imputazione coatta nei confronti di Saragò accusato dell’omicidio – connotato dalle modalità mafiose – del 46enne, accogliendo seppur in parte le richieste dell’avvocato Giovanna Fronte che assisteva la moglie della vittima.

IL PROFILO DELLA VITTIMA

Subito dopo il delitto del 46enne, gli investigatori avevano rinvenuto tracce di un possibile appostamento del killer in un terreno coperto di erba e rovi posto dinanzi all’abitazione della vittima, in posizione rialzata di circa due metro e mezzo, attraversato da un sentiero conducente anche all’abitazione di Filippo Saragò. Dagli atti di indagine della Squadra Mobile di Vibo relativa all’operazione antimafia denominata “Peter Pan”, scattata nel dicembre del 2012, emergeva poi “la contiguità di Vincenzo Di Costa agli ambienti della criminalità organizzata”.

Vincenzo Di Costa

In tal senso – scriveva ancora il gip – assumono rilevanza alcune intercettazioni del 2009 e del 2010 in cui esponenti della cosca La Rosa di Tropea commentano il comportamento “esuberante” di Vincenzo Di Costa, mentre il collaboratore di giustizia Peter Cacko, il 7 ottobre 2009, si è autoaccusato di aver posizionato su mandato di Pasquale Quaranta di Santa Domenica di Ricadi (attualmente condannato all’ergastolo per l’omicidio di Saverio Carone) un ordigno esplosivo per danneggiare il chiosco adibito alla vendita delle cipolle dello “zingaro”, alias con il quale era conosciuto Vincenzo Di Costa.

I TRE MOVENTI DELL’OMICIDIO SECONDO LA PROCURA

Il possibile movente/1. Nel decreto del giudice erano ricostruite tutte le fasi del delitto, il movente, e le responsabilità mosse a carico dell’unico indagato (difeso dall’avvocato Giovanni Vecchio e dal collega Sandro D’Agostino). Filippo Saragò era risultato positivo all’esame dello stub mentre la vittima “era soggetto incline a commettere atti intimidatori a mezzo incendio come quelli del 22 gennaio 2010 ai danni di Antonietta De Rito, del 31 gennaio 2010 ai danni di Domenico Lorenzo, del 6 febbraio 2010 a minimarket di Alessandro Crigna e della farmacia “Taccone” a Parghelia e infine del 23 febbraio 2010 ai danni di Maria Taccone in viale Stazione a Tropea.

Appena due giorni prima dell’omicidio, il 20 marzo, vi era stato l’incendio dell’autovettura Smart di Vanessa Seminara, al tempo fidanzata di Francesco Saragò, in passato utilizzata dal fratello Filippo, destinatario, peraltro, in data 2 novembre 2007 di una lettera minatoria contenente l’allusione ad un attentato dinamitardo che la polizia giudiziaria ha ipotizzato coincidere con quello denunciato da Di Costa il 17 aprile 2005 e invero commesso da Peter Cacko”.

IL SECONDO POSSIBILE MOVENTE SULL’OMICIDIO DI TROPEA

Altro movente dell’omicidio ritenuto verosimile dal magistrato “venne indicato dalla moglie della vittima nella gambizzazione, da parte di Vincenzo Di Costa, di Nicola Zangone, nipote di Giuseppe Accorinti (cl. ’81) fatto per il quale la vittima, anche rivolgendosi ai La Rosa, aveva cercato inutilmente un “chiarimento”, rifiutato dallo Zangone, circostanza che gli faceva temere una possibile “risposta””.

IL TERZO POSSIBILE MOVENTE

Infine un ulteriore motivo faceva riferimento ad una notizia riferita agli inquirenti da “Giuseppe Di Costa, fratello della vittima, il quale era in lite per futili motivi con la vicina di casa (come attestato anche da una sorta di denuncia manoscritta rinvenuta in un cassetto del comodino della sua camera da letto) ed il cui marito aveva fatto la sera dell’omicidio, un’inusuale visita di cortesia a casa della madre di Di Costa”.

LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER IL 40ENNE DI TROPEA

Tutti questi elementi avevano portato il gip ad emettere l’imputazione coatta per Di Costa ma nel corso del dibattimento le accuse di omicidio a carico dell’imputato di Tropea sono rimaste indimostrate e da qui la conforme richiesta, di pm e legali di difesa, di assoluzione, che la Corte ha accolto.

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