X
<
>

L'aula del tribunale di Ravenna in cui si è svolto il processo "Radici"

Share
4 minuti per la lettura

Concluso il primo grado di giudizio del processo “Radici”, avente ad oggetto le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta, in particolare di soggetti vibonesi, ritenuti esponenti della cosca Mancuso di Limbadi, nella riviera romagnola; sentenza di condanna del tribunale di Ravenna anche per diversi reggini


È GIUNTO a conclusione con la sentenza di primo grado il processo “Radici”, che prende il nome dall’omonima operazione antimafia coordinata dalla Dda di Bologna (il blitz scattò nell’ottobre del 2022) e condotta dalla Guardia di finanza, avente ad oggetto le presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta, in particolare di soggetti vibonesi, ritenuti esponenti della cosca Mancuso di Limbadi, nella riviera romagnola, che avrebbe avuto il controllo dei locali gestendoli con modalità mafiose per riciclare denaro.

LA SENTENZA CONTRO LA ‘NDRANGHETA NELLA RIVIERA ROMAGNOLA

Il Tribunale collegiale di Ravenna – presieduto dalla giudice Cecilia Calandra, con a latere Federica Lipovscek e Cristiano Coiro – ha emesso condanne per 98 anni di reclusione e un totale e  35.350 euro di multe per i 21 imputati. La camera di consiglio si era riunita lunedì. La Procura, con il pm della Dda di Bologna Marco Forte, aveva chiesto pene per oltre 110 anni. Tra le condanne più pesanti ci sono quelle a 13 anni e 3 mesi per il vibonese Saverio Serra (12mila euro di multa), considerato personaggio legato al clan Mancuso e attualmente in carcere (per lui il pm aveva chiesto 15 anni e 11 mesi).

A seguire i reggini Francesco Patamia, condannato a 11 anni e 2 mesi (9.200 euro di multa), e Rocco Patamia con 10 anni e 6 mesi (8.600 euro di multa). Il primo, in particolare, fu candidato alla Camera alle elezioni politiche con la lista ‘Noi moderati’ e per lui la richiesta del pm era stata di 13 anni, mentre per il padre Rocco erano stati chiesti 11 anni e 10 mesi. Tra le parti civili del processo, in quanto vittima di minacce, l’ex portiere di serie A Marco Ballotta che sarà risarcito di 3mila euro da Giovanni Battista Moschella, condannato a 5 anni e 10 mesi di reclusione.

LE SENTENZA PER GLI IMPUTATI VIBONESI NELLA RIVIERA ROMAGNOLA; UN’UNICA ASSOLUZIONE

Queste dunque le pene emesse per gli imputati i vibonesi residenti in Emilia-Romagna: Saverio Serra, di 53 anni, di Vibo (13 anni e 3 mesi); Annunziata Gramendola, di 49 anni, di Vibo (3 anni e 7 mesi); Giovanni Battista Moschella, di 65 anni, di Vibo (5 anni e 10 mesi); Antonino Carnovale, di 49 anni, di Piscopio (5 anni e 11 mesi); Domenico Arena, di 48 anni, avvocato di Vibo (3 anni e 6 mesi), Pietro Piperno, di 63 anni, di Piscopio (2 anni e 4 mesi).

E ancora, Eleonora Piperno, di 30 anni, di Piscopio (2 anni); Patrizia Russo, di 46 anni, di Piscopio (3 anni); Michele Scrugli, di 32 anni, di Vibo (2 anni e 8 mesi); Leoluca Serra, di 23 anni, di Vibo, (4 anni); Giuseppe Maiolo, di 54 anni, di Vibo (3 anni e 9 mesi). Unica assoluzione tra i vibonesi, richiesta tra l’altro anche dal pm, quella di Gianluca Cannatelli, di 29 anni, di Soriano (difeso dall’avvocato Nazzareno Latassa).

LA SENTENZA PER GLI IMPUTATI NON VIBONESI

Queste le richieste della Dda nei confronti degli imputati non vibonesi: Massimo Antoniazzi, 58 anni, di Porto Valtravaglia (2 anni e 8 mesi); Marcello Bagalà, 37 anni, di Gioia Tauro (3 anni e 8 mesi); Claudia Bianchi, di 42 anni, di Reggio Emilia (2 anni); Giorgio Caglio, di 85 anni, di Milano (3 anni); Gregorio Ciccarello, 45 anni, di Catanzaro (3 anni e 8 mesi); Alessandro Di Maina, 53 anni, di Cesenatico (6 anni e 8 mesi); Carmelo Forgione, 37 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte (2 anni e 5 mesi); Giovanni Forgione, 35 anni, di Sant’Eufemia d’Aspromonte (2 anni e 5 mesi); Francesco Patamia, 36 anni, di Gioia Tauro (11 anni e 2 mesi); Rocco Patamia, 60 anni, di Oppido Mamertina (10 anni e 6 mesi).  Assoluzioni infine per Renato Brambilla, di 83 anni, di Milano assoluzione infine e per Giuseppe Sarto, 52 anni, di Taurianova.

GLI AFFARI DELLA ‘NDRANGHETA NELLA RIVIERA

Secondo l’accusa, gli investimenti illeciti, avvenuti anche in piena emergenza Covid, avrebbero riguardato “esercizi commerciali soprattutto del litorale romagnolo e aziende edili, della ristorazione e dolciarie”. Il bilancio dell’operazione era stato di 27 milioni di euro di beni sequestrati, oltre alle 23 misure cautelari. L’indagine era partita da una segnalazione del sindaco di Cesenatico Matteo Gozzoli, presente in udienza, alla quale ha preso parte anche una scolaresca di Forlì. Polizia e Guardia di Finanza hanno dimostrato l’interesse per le attività del gruppo di due famiglie storiche della ‘ndrangheta, sia reggine che vibonesi, i Mancuso di Limbadi e i Piromalli di Gioia Tauro, evidenziando che anche chi mafioso non era, ne evocava la loro presenza per spaventare le vittime e gestendo i locali lungo la riviera romagnola; soggetti il cui percorso giudiziario è arrivato ad una prima conclusione con la sentenza emessa dal Tribunale di Ravenna

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE