La sede della Corte d'Appello di Catanzaro
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Con l’assoluzione di Antonio Cuturello, viene meno il numero legale per poter contestare l’associazione mafiosa agli imputati ai quali veniva mossa nel processo “Black Money” contro il clan Mancuso conclusosi ieri in Corte d’Appello
VIBO VALENTIA – UNA sentenza che non potrà non avere ripercussioni, quella pronunciata ieri dal presidente della corte d’Appello di Catanzaro Alessandro Bravin (a latere Assunta Maiore e Elvezia Antonella Cordasco) che mette il punto, finora non esclamativo, su uno dei procedimenti penali che ha caratterizzato l’ultimo decennio: “Black Money”, scaturito dall’omonima operazione antimafia del 2013 contro il clan Mancuso di Limbadi. Ebbene, nel verdetto cade il numero legale per contestare il vincolo associativo in quanto in questo filone ne erano accusati Orazio Cicerone, Giovanni D’Aloi e Antonio Cuturello ma l’assoluzione di quest’ultimo fa scendere l’accusa solo a carico di due persone quando invece il codice stabilisce che per contestarlo si debba essere almeno in tre.
Con questo pronunciamento gli imputati ai quali era contestata l’associazione mafiosa potranno imboccare la strada della revisione del processo. L’inchiesta “Black money” contestava l’associazione mafiosa Mancuso fino al 2013; sarebbe regredita al 2003 se solo non vi fosse stata nel frattempo Rinascita-Scott in cui se ne è sancito il riconoscimento all’esito del vari tronconi del processo.
LA SENTENZA DELLA CORTE AL PROCESSO BLACK MONEY
Ad ogni modo, è l’ennesimo colpo di scena che ha caratterizzato questo procedimento penale che ieri si è concluso con sentenza di non doversi procedere nei confronti di Ercole Palasciano, Domenico Musarella e Francesco Maria L’Abbate in quanto i reati a loro ascritti sono caduti in prescrizione. Per Cicerone (assistito dall’avvocato Michelangelo Miceli) pena rideterminata in 4 anni di reclusione; verdetto assolutorio, poi, nei confronti di Antonio Cuturello, per non aver commesso il fatto e pena rideterminata per un altro capo di imputazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, in 2 anni di reclusione; pena rideterminata anche per Antonio Pantano (2 anni e 10 mesi) nonché per D’Aloi (8 anni e 6 mesi, e 1.700 euro di multa).
La Corte inoltre condannato Cicerone alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalle parti civili Domenico Polito Maria Concetta, Giuseppe e Domenico Grasso, e Francesca Franzè che ha liquidato in 1 600 complessivi ciascuno oltre agli accessori, disponendone il pagamento a favore dello Stato.
IL PROCESSO TORNAVA DALLA CASSAZIONE
Il processo tornava dalla Cassazione che aveva emesso sentenza di rinvio il 19 febbraio del 2018 ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro della pronuncia in Appello del 18 maggio 2016. Per Cuturello in relazione al capo associativo e al trattamento sanzionatorio; a Pantano e, per l’effetto estensivo, nei confronti di D’Aloi in relazione al una tentata estorsione con riferimento alla qualificazione giuridica; a Cicerone limitatamente al trattamento sanzionatorio; a Palasciano, Musarella e L’Abbate, infine, in ordine al reato associativo semplice e limitatamente alla perimetrazione temporale della condotta associativa e inoltre solo nei confronti degli ultimi due alla partecipazione all’associazione.
La Cassazione aveva confermato invece la pena per Fabio Costantino, 47 anni, di Comerconi di Nicotera (a 5 anni e 6 mesi); per Giuseppe Costantino, 58 anni, di Nicotera (6 anni, 4 mesi) e per Francesco Tavella, 56 anni, di Porto Salvo, frazione di Vibo Valentia (5 anni e 5 mesi). Contrariamente al rito abbreviato, dove la contestazione associativa mafiosa aveva retto finora, nell’ordinario era venuta meno nei tre gradi di giudizio.
IL COLLEGIO DI DIFESA
A difendere i sette imputati, gli avvocati Michelangelo Miceli (Cicerone), Giangregorio De Pascalis e Francesco Muscia (D’Aloi), Giuseppe Cosentino (Cuturello), Francesco Muzzopappa (Pantano), Francesco Gambardella e Franco Coppi (Musarella e Palasciano), Renato L’Abate e Massimo Krogh (L’Abbate). Rappresentante di Parte civile, invece, l’avvocato Claudia Conidi nell’interesse di Domenico, Giuseppe e Maria Concetta Grasso, Francesca Franzé e Domenico Polito.
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