Le immagini dell'epoca del luogo della strage
3 minuti per la letturaLa Cassazione dispone un nuovo giudizio sulle esigenze cautelari per il presunto boss Gaetano Emanuele indagato per la “Strage di Ariola”, commessa in concorso con esponenti della cosca Maiolo. Accolto il ricorso della difesa.
VIBO VALENTIA – Si impone un nuovo giudizio davanti al Riesame in ordine alle esigenze cautelari per il presunto boss Gaetano Emanuele, 49 anni, considerato al vertice dell’omonimo clan di ’ndrangheta operante nelle Preserre Vibonesi, indagato per la Strage di Ariola. A stabilirlo è la Cassazione accogliendo il ricordo presentato dagli avvocati Giuseppe Di Renzo, Alessandro Diddi e Mauro Lanzo, mentre la Procura Generale aveva avanzato richiesta di inammissibilità del ricorso. E’ la novità più rilevante sulle esigenze cautelari degli indagati dell’operazione di Carabinieri e Dda di Catanzaro, visto che per i cugini Maiolo la Cassazione ha confermato il carcere.
Emanuele, attualmente latitante – fratello del presunto boss ergastolano Bruno – è come detto indagato insieme ad esponenti della cosca Maiolo di Acquaro, nell’operazione “Habanero” del giugno 2024, per il triplice omicidio a colpi di fucile a pallettoni, meglio conosciuta come la “Strage di Ariola”, che il 25 ottobre del 2003 vide l’uccisione di Francesco e Giovanni Gallace nonché di Stefano Barillaro e per il tentato omicidio di Ilario Antonio Chiera. Una dinamica ricostruita attraverso gli accertamenti effettuati nell’immediatezza e dalle dichiarazioni rese da Chiera, unico sopravvissuto all’agguato che ha chiamato i soccorsi e descritto uno degli autori dell’agguato.
Ad aggiungersi al narrato anche le dichiarazioni numerosi collaboratori di giustizia: Francesco Loielo, Rocco Oppedisano, Michele Ganino, Enzo Taverniti, Bartolomeo Arena, Luciano Oliva e Antonio Forastefano, ex boss di Cassano allo Ionio. Proprio quest’ultimo, in particolare, aveva dichiarato di avere appreso dall’indagato Angelo Maiolo, mentre era latitante, che all’omicidio aveva partecipato come esecutore materiale anche Gaetano Emanuele.
LE MOTIVAZIONI DELLA CASSAZIONE SU EMANUELE
Ma per i giudici romani, diversamente da quanto affermato apoditticamente dal Tribunale del Riesame di Catanzaro, «non emerge alcun elemento dal quale si possa desumere che quanto raccontato dal collaboratore in merito a Gaetano Emanuele facesse parte di un patrimonio comune del gruppo». E ancora, si mette in evidenza come nessuno degli altri collaboratori abbia reso dichiarazioni sul punto «né l’indicazione di altri argomenti dai quali emerga che la notizia rientrasse tra quelle pacificamente note all’interno del clan» e cioè che fosse espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso «derivante dalla circolazione all’interno della stessa di informazioni e di notizie relative a fatti di interesse comune degli associati».
LA STRAGE DI ARIOLA LE DICHIARAZIONI DEI PENTITI FORASTEFANO E OPPEDISANO SU GAETANO EMANUELE
Sempre la Cassazione evidenzia che «non si può ritenere che le dichiarazioni rese da Forastefano «siano equiparabili a quelle dirette perché costituite da confidenze autoaccusatorie ricevute direttamente dall’autore materiale del fatto. Si tratta – spiega ancora la Corte – di una informazione corretta solo in ordine a quanto narrato da Angelo Maiolo in merito alla propria responsabilità, che ha in tal modo “confessato” al collaboratore, ma non può essere esteso alla posizione di Gaetano Emanuele».
I giudici si soffermano poi anche sul narrato di un altro collaboratore, Domenico Oppedisano, rilevando come questi «abbia riferito di un discorso avvenuto, peraltro in termini generici, circa un anno prima della commissione degli omicidi, mentre gli ulteriori elementi emersi non sarebbero solo a carico di Gaetano Emanuele, come le autovetture ritrovate in una zona compatibile con diversi indagati». Inoltre, l’impronta digitale su uno dei fucili calibro 12, presumibilmente quelli utilizzati per commettere gli omicidi, non è di Gaetano Emanuele mentre la fibra del passamontagna «in qualche modo riconducibile a quello indossato da uno degli esecutori materiali» fu rinvenuta su di «un’autovettura nella disponibilità di Vincenzo Bartone».
Da qui, pertanto, la decisione di un nuovo Riesame per Gaetano Emanuele.
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