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L’ex boss scissionista di Vibo, Andrea Mantella, pentito dal 2016, racconta sull’affare redditizio della raccolta dei rifiuti nel territorio. Una torta consistente divisa con altre consorterie. E sul Buon Ordine dice: “Non so cosa voglia dire, io mettevo bombe, compivo omicidi e mi piacevano i soldi”.


VIBO VALENTIA – Le attività estorsive ai danni dei Farfaglia – parte civile al processo – la nascita del buon ordine e il business dei rifiuti sono stati gli argomenti affrontati dal pentito Andrea Mantella, ex boss scissionista di Vibo, al processo che, davanti al tribunale collegiale del capoluogo, sta accertando l’esistenza di responsabilità nelle presunte condotte estorsive ai danni delle ditte impegnate nella raccolta dell’immondizia e nella realizzazione delle opere complementari del nuovo ospedale. Le sue dichiarazioni arrivano dopo quelle di un altro collaboratore: Bartolomeo Arena.

LE ESTORSIONI AI FARFAGLIA

Rispondendo alle domande del pm Eugenia Belmonte, Mantella racconta che “i fratelli Farfaglia sono imprenditori alleati con i Fiarè di San Gregorio d’Ippona, e di fatto gestiscono il patrimonio aziendale economico della cosca e quindi sono imprenditori intranei alla ’ndrangheta. Storicamente  i Farfaglia dovevano lasciare il cosiddetto “fiore” a me personalmente. E, allora, si era determinata questa estorsione ma di fatto i Farfaglia operavano anche per le mie casse in un certo senso. Poi – aggiunge il pentito, nel 2009, quando ero ai domiciliari a Villa Verde, succede che Gregorio Gioffrè, alias “nasone”, il genero di Rosario Fiarè, mi fa sapere i Farfaglia che stavano eseguendo dei lavori tra Vibo e Vena di Ionadi, località anche quest’ultima che era di mia competenza tramite mio cugino Salvatore Mantella e suo cognato Mario De Rito”.

Mantella aggiunge che un giorno di giugno – periodo in cui era in semilibertà – mentre era Vibo Marina, avrebbe ricevuto da uno dei figli di Rocco Farfaglia, davanti al ristorante il Saraceno, “una busta con 5mila euro che rappresentava la prima tranche della tangente da 20mila euro, tutte saldate anche perché non avevano alternativa, riguardante i lavori che aveva iniziato. Quando i Farfaglia ricevevano il pagamento del loro stato di avanzamento dei loro lavori, ovviamente, davano i soldi ai soggetto con cui avevano preso degli impegni. Loro inoltre drenavano denaro anche attraverso l’attestazione delle fatture false, nel senso che facevano uscire i soldi sulla fattura e quindi, di fatto, di tasca loro non mettevano niente”. E Rocco Farfaglia sarebbe stato presentato al pentito da Rosario Fiarè nei pressi della chiesa di Santa Ruba “dicendomi che era un suo parente”.

IL RUOLO DI SALVATORE E VINCENZO MANTELLA NELLE PAROLE DEL CUGINO

I fratelli Salvatore e Vincenzo Mantella, cugini del pentito, erano coloro i quali continuavano “in modalità riservata rispetto al gruppo delle nuove leve a prendere i soldi in sordina come ad esempio nella vicenda dei lavori all’impianto elettrico dell’ospedale di Vibo Valentia, nei pressi dell’obitorio, attraverso l’avvocato Francesco Sabatino. Questo è Salvatore, non Vincenzo, perché lui era in cella con me al carcere di Cosenza. Mi notiziava a quanto doveva chiudere le estorsioni ed io gli dissi che andavano bene 10mila euro. Il postino era l’avvocato Sabatino che portava queste notizie dall’interno all’esterno del carcere e viceversa”.

L’EX BOSS DI VIBO ANDREA MANTELLA E IL FEDELISSIMO MORELLI

Durante l’esame davanti al Tribunale di Vibo, trova spazio, nella deposizione del pentito Mantella, anche la figura di Salvatore Morelli, alias “L’americano”, che era il “mio fedelissimo perché riconoscevo in lui delle doti intellettuali un po’ particolari. Era più furbo quando mi inviava qualche lettera sempre criptica, però mi accennava che arrancava tuttavia qualcosa in termini di denaro me la faceva avere attraverso il cognato Marco Startari”. Lui, una volta fuori dal carcere “mi scriveva e mi tranquillizzava sul fatto che avesse ripreso in mano le attività estorsive notiziandomi su chi non corrispondeva come “Cicciobello”, Vangeli e del titolare di “Stocco&Stocco”.

Per quanto concerne le estorsioni alle ditte dei rifiuti il collaboratore aggiunge che anche in questo frangente Morelli “so che si stava dando da fare in quanto incontrava delle difficoltà”. Il periodo è qualche mese prima dell’inizio della collaborazione di Mantella con la Dda (fine maggio 2016). E Morelli era il “capo giovane, che si avvaleva di Michele e Giuseppe Pugliese Carchedi, di Domenico Tomaino, di Marco Startari” mentre su Domenico Camillò il pentito nulla ha riferito in quanto non lo conosce (al tempo l’imputato in questione era minorenne).

IL PENTITO MANTELLA, IL BUSINESS DEI RIFIUTI E LA TORTA DA SPARTIRE A VIBO

Mantella racconta che quella della raccolta dei rifiuti sarebbe stata una torta appetitosa ma da dividere con altre consorterie: “Io ottengo la nostra fetta per la mia caparbietà, perché lì c’era la concorrenza di Pantaleone Mancuso, “Scarpuni” con Giovanni Campennì (coinvolto nell’indagine Mafia Capitale, ndr), dei sangregoresi con Gioffrè e i Fiarè e, quindi, a un certo punto ci siamo divisi Vibo. Il dottor Pellegrino (l’allora Ad, non imputato nel processo, ndr) doveva corrispondere e riconoscermi quanto mi spettava e in effetti, attraverso Giuseppe Gramendola, così faceva. In più, io e Morelli avevamo a nolo qualche camion per la raccolta dei rsu. Morelli mandava Tomaino a raccoglierli e pagava il nolo: il dottor Romano ci faceva avere i soldi del nolo che, per la verità, prendeva Morelli in più. A me li dava Romano attraverso Russo e lo stesso Gramendola”, tutti e tre non imputati.

L’AFFARE RIFIUTI, CAMPENNI, MANCUSO E BUZZI

E, ovviamente, le pretese dei clan che si spartivano la torta sarebbero state sempre le stesse: “Assunzioni di comodo, persone vagabonde che non lavoravano, perché erano parenti delle cosche. Si obbligava alla ditta appaltatrice di prendere qualche autocompattatore a nolo attraverso Giovanni Campennì e Pantaleone Mancuso. Quest’ultimo ha piazzato gli autocompattatori attraverso i camion di Campennì. C’era in mezzo pure Buzzi (anche lui condannato nel processo scaturito dall’indagine della Dda romana, ndr) in questa partita e, quindi, era un tesoro la spazzatura. Capii la situazione e dissi a Campennì che non mi bastavano più i camion che aveva Morelli ma che volevo i soldi sottobanco, senza dire alcunché a quest’ultimo. Gli volevo bene, lo stimavo però, onestamente, gli lasciavo solo prendere quei quattro soldi che gli dava per le fatture mentre, invece, il dottor Pellegrino, attraverso Campennì e Gramendola, mi inviava i soldi”.

SALMONE, VINO E SOLDI

Il teste, sul punto, ha raccontando un aneddoto avvenuto a Natale del 2009: “Pellegrino mi ha mandato un cestino, con le solite bottiglie di vino, il salmone e altro. Avevo un operaio di nome Roberto a cui dissi: “Mangia tutto e dammi quello che c’è sotto”. E sotto ci sarebbe stata una busta contenente “10 mila euro. Li aveva portati Gramendola e di questi soldi non dissi niente a Morelli. Cosa avrei dovuto dirgli?”.

E sui rapporti con Pellegrino, poi, il pentito ex boss di Vibo ha parlato della “corsia preferenziale che si era instaurata; lo frequentavo, ovviamente di nascosto, tanto è vero mi misi in contatto con un mattatoio di Catania, per la macellazione di bovini provenienti dalla Francia, per farle capire il rapporto che c’era insieme a Mimmo Russo”, ha concluso Mantella.

MANTELLA: “IL BUON ORDINE? MAI SENTITO. IO METTEVO BOMBE E FACEVO OMICIDI”

Il controesame del teste-imputato è stato condotto dagli avvocati Enzo Trungadi (per la parte civile), Diego Brancia, Walter Franzé.  Una delle domande poste al pentito è stata quella se fosse a conoscenza della nascita, nel 2012, di un “buon ordine” per come riferito da un altro collaboratore, Bartolomeo Arena, che avrebbe compreso gli storici Lo Bianco-Barba con le nuove leve del clan di Vibo.

Sul punto Mantella ha risposto di “non sapere tecnicamente cosa significa. Io ho fatto il disordine, nel senso che facevo mettere bombe, compiere attentati mi ero imposto di comandare su Vibo Valentia.  Ero interessato alle mie cose. Alle chiacchiere  come ’ndrangheta, camorra, mafia, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, non ho mai dato importanza, non ho mai subito il loro fascino. Non ero a conoscenza di questo “buon ordine”; ero dedito al business, mi piacciono i soldi, mi piace altro”, ha affermato specificando poi di non aver mai ricevuto lettere “da questo gruppo di scissionisti che si era opposto ai Lo Bianco”, di conoscere Arena solo perché “lo vedevo passeggere in Viale della Pace con un Cagnolino” e che lo appellavano “Vartolo” e inoltre aggiungendo che questi “non ha mai concorso con me altrimenti l’avrei accusato in tempi non sospetti”.

MANTELLA: “SU VIBO HO SEMPRE COMANDATO IO, ANCHE DAL CARCERE”

In sede di controesame condotto dall’avvocato Walter Franzé, Andrea Mantella ha confermato che tranne qualche periodo difficile dovuto all’uccisione di Francesco Scrugli e alla carcerazione di Morelli, il controllo criminale della città è rimasto saldamente nelle mani sue e del suo gruppo, nonostante egli stesso fosse ristretto in vari penitenziari e questo nonostante la nascita del buon ordine e la successiva scissione delle cosiddette nuove leve per come aveva riferito Arena. “Per un periodo c’è stato Scrugli, poi è stato ucciso nella faida con i Patania, dopodiché Morelli era in carcere, Mantella Salvatore non mi ricordo, arrancava, era in difficoltà, c’è stato un periodo di crisi, dopodiché ci siamo ripresi con la scarcerazione di Morelli. In ordine a una estorsione p a un danneggiamento i miei accoliti, dovevano fare riferimento a me. Quella costituzione di questo “buon ordine” non mi scalfisce minimamente sotto il profilo dell’attività delinquenziale”.

IL PENTITO SULLE NUOVE LEVE: “GENTAGLIA DEDITA ALL’OZIO”

L’avvocato incalza il pentito: “Sa se sul territorio di Vibo altri gruppi criminali potevano porre in essere delle attività delittuose, al di fuori del contesto, dei soggetti di riferimento della città di Vibo Valentia, ad esempio, gente appartenente ad altre consorterie mafiose potevano porre attività delittuose su Vibo Valentia o le ponevano, che lei sappia, durante questo periodo storico, 2005–2016?”; la risposta di Mantella è stata la seguente: “Ma poteva pure rischiare, però qualche episodio sporadico. Magari, la sera si riunivano di fronte a un bicchierotto di vino in più e qualche pippotto di cocaina, si montavano la testa e facevano qualche incendio a qualche palestra, a qualche macchina. Poi, la mattina seguente, si chiariva la questione. Era gentaglia dedita all’ozio ed io non è che mi potevo confrontare con queste persone. Io i miei pupilli ce li avevo e dicevo loro “lasciate stare, è tempo perso, roba di teppistelli”.

E sulle attività di spaccio di droga messe in atto da altri gruppi, il pentito ha replicato così: “Non è che io controllavo piazza Municipio, chi vendeva la canna o chi vendeva la cocaina. Non curavo queste cose, io avevo il monopolio della carne, facevo altro”.

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