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La Corte d’Appello di Catanzaro ha depositato le 162 pagine di motivazioni della sentenza contro il clan di ‘ndrangheta di Piscopio nell’ambito del processo “Rimpiazzo”.


VIBO VALENTIA – Sono 162 le pagine di motivazioni della sentenza d’Appello del processo “Rimpiazzo” contro il clan di ‘ndrangheta di Piscopio conclusosi il 26 gennaio 2023 (un anno e mezzo di attesa) con 11 condanne e 10 assoluzioni.

LA SENTENZA D’APPELLO SULLA ‘NDRANGHETA DI PISCOPIO

Condanne che avevano riguardato Michele Fiorillo (cl.’86), detto “Zarrillo” (12 anni di reclusione); Nazzareno Felice, 62 anni, di Piscopio (8 anni e 4 mesi di reclusione); Nazzareno Fiorillo, 57 anni, alias “U Tartaru” (11 anni); Rosario Fiorillo, 33 anni, di Piscopio (19 anni, un mese e 10 giorni); Sasha Fortuna, 43 anni, di Vibo, residente a Bologna (17 anni e 4 mesi); Giovanni Giardina, 45 anni, di Palermo (6 anni); Francesco La Bella, 50 anni, di Piscopio (8 anni); Luigi Maccarone, 45 anni, di Limbadi (2 anni); Raffaele Moscato, di 37 anni, di Vibo Marina, collaboratore di giustizia (7 anni e 2 mesi); Gaetano Rubino, di 42 anni, di Ficarazzi, nel Palermitano (6 anni); Giovanni Battaglia, di 39 anni, di Piscopio (9 anni).

Le assoluzioni avevano invece interessato Michele Fiorillo (cl. ’87), Mario Loiacono; Saverio Merlo, Giuseppe Merlo; Michele Suppa; Marco Fiorillo; Pasquale Fiorillo; Francesco D’Ascoli; assolto Salvatore Vita e assolto Cosmo Michele Mancuso, 72 anni, di Limbadi indicato come uno dei capi dell’omonimo clan di Limbadi. Rispetto al primo grado spicca la condanna di Michele Fiorillo (Zarrillo) assolto dal gup distrettuale di Catanzaro nel precedente giudizio celebratosi con rito abbreviato.

PROCESSO ALLA ‘NDRANGHETA DI PISCOPIO: LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE D’APPELLO

GIOVANNI BATTAGLIA

Nei suoi confronti, per la Corte non è ravvisabile alcuna discrasia sul fatto il pentito Raffaele Moscato abbia dichiarato che l’imputato “facesse parte della “società minore” della cosca dei Piscopisani con la carica di “picciotto”, che era titolare e gestore del bar sito nella piazza San Michele di Piscopio il cui profitto veniva messo a disposizione della cosca, talvolta anche per il mantenimento dei detenuti, che il bar era sede di numerose riunioni tra gli accoliti nelle quali veniva deliberata la strategia criminale del sodalizio, e inoltre che nei locali dell’attività di ristoro l’appellante deteneva anche armi nell’interesse della cosca”.

Battaglia – è l’ulteriore dato acclarato – era titolare dell“American Bar’’ il quale era “solo fittiziamente intestato a Simone Prestanicola”. Inoltre l’altro collaboratore Andrea Mantella, aveva dichiarato  che “Battaglia era a disposizione della cosca per armi, droga, intestazioni fittizie” e che gestiva l’American Bar”.

NAZZARENO FELICE

L’appellante è attinto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Moscato, Mantella e Bartolomeo Arena. Il secondo nell’interrogatorio dell’ 11 aprile.2019 ad integrazione delle precedenti dichiarazioni, aveva precisato il ruolo e la caratura criminale di Felice riferendo che lo stesso “era inserito nella società maggiore dei Piscopisani ma comunque soggetto a Nazzareno Fiorillo”. Alle sue si erano aggiunte, nel 2020, quelle di Arena, secondo le quali l’imputato era uno “’ndranghetista già appartenente alla vecchia “Società di Piscopio” riferendo poi dei contrasti insorti tra questi e Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo all’epoca della faida con i Patania”. Ulteriore elemento a carico dell’imputato è stato poi fornito dagli sviluppi investigativi sulla base dei quali è stata contestata al Felice la tentata estorsione al bar “Etoile”.

NAZZARENO FIORILLO

Anche lui è attinto dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Moscato, Mantella, Arena, Loredana Patania e Daniele Bono. Dichiarazioni che, in merito alla partecipazione dell’imputato alla struttura associativa dei “Piscopisani” ed al ruolo apicale dallo stesso ricoperto in seno ad essa, diversamente da quanto affermalo dalla difesa, sono a giudizio della Corte “tutt’altro che generiche ed inconferenti”.

Nello specifico, Moscato, “fonte estremamente qualificata per il ruolo apicale rivestito in seno alla cosca”, riferisce di Fiorillo quale il “capo della “locale di Piscopio” e che nel 2009/2010, al momento della nascita del sodalizio, sedeva al vertice, unitamente a Galati Salvatore Giuseppe, in quanto “più adulto” rispetto ai co-fondatori Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo cl.’86”. Inoltre, lo stesso Fiorillo, sempre in base a quanto riferito da Moscato, aveva messo a disposizione della cosca “un locale in un terreno agricolo, denominato “La Loggia”, destinato ad ospitare le riunioni dei sodali finalizzate a pianificare le attività di spaccio della droga, le azioni di fuoco ed occultare le armi della cosca”.

Sempre a dire del collaboratore di giustizia, l’appellante “intratteneva i rapporti con le altre cosche operanti in Calabria e nel Nord Italia, tra le altre con la Locale di Moncalieri capeggiata da Franco D’Onofrio, con quella di Siderno a Torino nella persona di Giuseppe Catalano, nonché coi vertici delle consorterie reggine”.

LE DICHIARAZIONI DI PATANIA A SOSTEGNO DELLA TESI DI MOSCATO

A riscontro delle dichiarazioni di Moscato si pongono quelle della Patania che ha indicato l’imputato quale “soggetto facente parte del gruppo dei Piscopisani” e quelle di Mantella che ha confermato “il ruolo di capo di Nazzareno Fiorillo, detto “u Tartaru”, per motivi di anzianità”.

Ritenuta, infine, di particolare rilievo la conversazione tra Rosario Fiorillo e Nazzareno Galati che dimostra il “rispetto nutrito dai conversanti nei confronti dell’imputato  che si spiega soltanto a fronte di un riconosciuto ruolo di vertice ricoperto da Fiorillo nella consorteria e che conferma la posizione attribuitagli dai collaboratori”.

PROCESSO D’APPELLO ALLA ‘NDRANGHETA DI PISCOPIO: LE MOTIVAZIONI PER GLI ALTRI IMPUTATI

ROSARIO FIORILLO

Anche “Pulcino”, questo l’alias, è attinto dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia  Moscato, Arena, Mantella, Patania, Bono, Vasvi Baluli, Nicola Figliuzzi che “convergono sulla circostanza che l’appellante ricoprisse un molo di vertice in seno alla consorteria dei “Piscopisani”.

Moscato in particolare ha dichiarato che Fiorillo, facente parte della “società maggiore” e promotore della consorteria, “concorreva alla ideazione e programmazione degli omicidi funzionali agli interessi della cosca, gestiva l’esecuzione dell’attività estorsiva del sodalizio, organizzava ed eseguiva gli atti intimidatori, i danneggiamenti, le rapine consumati nell’interesse della cosca”. A queste si aggiungono le dichiarazioni di Mantella che hanno riscontrato in “modo individualizzante quelle di Moscato” e dei pentiti Bono Daniele, Beluli e Figliuzzi che hanno descritto Fiorillo “quale intraneo alla cosca dei Piscopisani” con la Patania che ha riferito anche in merito “alla responsabilità dell’imputato per l’omicidio dello zio Fortunato Patania”.

Inoltre Arena, ha indicato Fiorillo quale soggetto “facente parte della “società maggiore”, descrivendolo come “il più sanguinario dei Piscopisani. attratto dalla vista del sangue, sempre pronto ad azioni violente ed efferate”, identificandolo quale mandante dell’omicidio di Fortunato Patania e come colui che “viaggiava di pari passo” con il cugino Rosario Battaglia e che insieme a questi, a Michele Fiorillo, alias “Zarrillo”, Giuseppe Galati e Nazzareno Fiorillo, assumeva le decisioni principali per la vita e le strategie dell’associazione”.

SASHA FORTUNA

La Corte ha ritenuto infondate le censure difensive in ordine alle dichiarazioni pentiti Moscato, Mantella e Arena che si presentano, invero, “precise, dettagliale e delineano con chiarezza il ruolo svolto dall’imputato all’interno dell’associazione”.  Le chiamate in correità di Fortuna, in particolar modo quelle del Moscato e di Arena, vengono ritenute dai giudici del tutto convergenti  poiché entrambi “indicano l’imputato quale soggetto intraneo al sodalizio, facente parte del gruppo dei “piscopisani” col ruolo di “picciotto”, responsabile di delitti fine commessi nell’interesse del clan, che, unitamente al defunto fratello Davide, procurava armi alla cosca, curandone anche il trasporto in Calabria e la custodia”. In più, Arena ha riferito circostanze ed episodi non menzionati da Moscato Raffaele e viceversa, il che – scrive ancora la Corte – esclude il rischio di artificiosità della concordanza tra le chiamate”.

FRANCESCO LA BELLA

Nei suoi confronti, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Moscato e Arena si presentano “precise, dettagliate e delineano con chiarezza il ruolo svolto dall’imputato al l’interno dell’associazione, precisamente quello di “armiere”, avendo il compito di custodire le armi del gruppo, di cui aveva ampia disponibilità e che metteva a disposizione degli affiliati in caso di azioni di fuoco, oltre che di braccio armato della Locale di Piscopio”.

Quelle dichiarazioni sono quindi ritenute “pienamente convergenti nella descrizione del ruolo dell’imputato all’interno della compagine associativa dei “Piscopisani”.

MICHELE FIORILLO “ZARRILLO”, ASSOLTO IN PRIMO GRADO, CONDANNATO IN APPELLO

MICHELE FIORILLO “ZARRILLO”.  Assolto in primo grado dal gup, condannato in Appello in accoglimento della richiesta della Dda. Su di lui le dichiarazioni rese da Raffaele Moscato in sede di dibattimento dalle quali è emerso che, nonostante lo stato di detenzione, “Fiorillo continuasse a svolgere il suo ruolo di capo all’interno della cosca, molo riconosciutogli da tutti gli appartenenti al clan, detenuti e non, i quali vedevano in lui il soggetto al quale rivolgersi per ottenere indicazioni sulle strategie da adottare sia all’esterno del gruppo”.

In particolare ciò sarebbe avvenuto “in relazione alla contrapposizione con i Patania, sia all’interno del gruppo medesimo che necessitava di nuovi equilibri in considerazione del fatto che era stato scoperto il tradimento di Fiorillo Nazzareno (zio di Fiorillo) che nella guerra con i Patania aveva “venduto” gli appartenenti al suo clan al gruppo contrapposto, e che in quanto capo andava dunque sostituito, o attraverso l’eliminazione fisica o comunque mettendolo da parte, e che Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo non andavano più d’accordo come in passato”.

Ma in generale le  dichiarazioni dei collaboratori sono state “tutte convergenti nell’indicare l’imputato quale appartenente di vertice all’associazione dei Piscopisani con il ruolo di “contabile”, a partire dalla data di costituzione della “Locale”, della quale è stato uno dei fondatori, fino almeno al 2019, e le accertate vicinanza e cointeressenze dello stesso con i vertici delle altre articolazioni criminali operanti sul territorio, sono in linea con il principio sopra espresso che richiede che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia siano accompagnale da emergenze dimostrative della “appartenenza al sodalizio” ed indicative del fatto che l’imputato non abbia mai reciso i legami con il gruppo criminale di appartenenza, nonostante io stato detentivo cui era sottoposto”.

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