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L'omicidio di Angelo Corigliano, avvenuto a Mileto nell'agosto 2013

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Il pentito Bartolomeo Arena affronta al processo “Maestrale” l’argomento delle famiglie di ‘ndrangheta operanti nel territorio di Mileto, dagli omicidi al traffico di droga.


VIBO VALENTIA – La ’ndrangheta di Mileto, dagli omicidi al traffico di droga, è l’argomento al centro dell’esame del pentito Bartolomeo Arena, nel corso dell’udienza del processo “Maestrale-Carthago” in corso nell’aula bunker a Lamezia. Nella prima parte il pentito si sofferma sulla famiglia Mesiano ma non prima di fare una breve panoramica della galassia criminale miletese per come riferitagli dal nonno Vincenzo Pugliese Carchedi: “Mi raccontò che  in passato c’erano le famiglie Luccisano, Cirianni e Zupo e tale Lombardo che aveva favorito la latitanza di Giuseppe Mancuso alias ’Mbrogghja, mentre più recentemente quelle dei Prostamo, Pititto Iannello, Mesiano, che hanno competenza su San Giovanni, Calabrò e Mileto, e quella dei Galati,  che invece ha influenze su Comparni”, ripercorrendo poi la faida che visto le prime tre da un lato e l’ultima dall’altro.

LA ‘NDRANGHETA DI MILETO SECONDO ARENA: I MESIANO E I PITITTO

I Mesiano. Per quanto concerne la famiglia Mesiano, il pentito racconta di aver conosciuto il capostipite, Giuseppe Mesiano, “in quanto intimo amico di mio padre Antonio tanto che era stato battezzato (di ’ndrangheta) da lui”; quindi una specifica: “Pur essendomi dissociato dalla ’ndrangheta, voglio precisare che Giuseppe Mesiano era un “uomo d’onore”, la cui parola era verbo e non era un “tragediatore”.  Ma già prima di essere ucciso “per mano dei Corigliano, aveva passato il testimone al genero, di cognome Corso, evidentemente in quanto per come ricordo avesse una dote maggiore rispetto ai figli”. E sui figli, il pentito ha parlato di Fortunato che “era molto attivo nel campo della cocaina, molto vicino a rocco Cristello a Milano, che poi venne ammazzato”; Pasquale “era in contatti con i piscopisani”.

Arena ha evidenziato che i Mesiano “non andavano d’accordo con la famiglia Corigliano, in particolare con Peppino e so che il figlio Angelo ha sparato contro di loro per poi essere ucciso, nell’estate 2013, dai primi come rappresaglia e che il delitto avvenne per mano di Salvatore Pititto”; ha anche ricordato l’amicizia con i componenti dei Mesiano che “erano tutti rimpiazzati nella ’ndrangheta” e che “a Vibo erano vicini ai Lo Bianco, ramo Carmelo Lo Bianco alias “Sicarro”.

I Pititto. Di questa famiglia Bartolomeo Arena ha affermato che Pasquale Pititto, che sedeva al vertice, “dava la droga a Damiano Pardea a Vibo.  Lui era il capo e quando mancava c’era il cugino Salvatore Pititto a guidare il gruppo”.

I CLAN DI ‘NDRANGHETA DI MILETO: I PROSTAMO, I IANNELLO E I TAVELLA

I Prostamo. Proseguendo nella sua narrazione dei clan di’ ndrangheta operanti nel territorio di Mileto, nell’udienza di “Maestrale “il pentito Arena si sofferma su quello dei Prostamo aggiungendo di aver conosciuto Giuseppe Prostamo che era il capo e che poi venne ammazzato a San Costantino Calabro da un soggetto di San Gregorio vicino ai Fiarè, un altro fratello che chiamano “il diavolo”, e i figli Giuseppe e Antonio Prostamo, figli di colui che imputati nel processo per l’omicidio Vangeli, aggiungendo di averne conosciuti anche altri anche perché hanno aiutato i Bonavota nella loro faida contro i Petrolo.

Non ha conosciuto invece un ulteriore fratello dei primi due, Nazzareno alias “Buttafuoco”.  Proseguendo nel racconto, il collaboratore ha riferito che dopo l’uccisione di Peppe Prostamo, i figli “hanno attentato alla vita di un commerciante di frutta di Mileto, Rocco Lascala, la cui moglie era amante della vittima e con cui aveva avuto una figlia”.

I Iannello. La conoscenza di questa famiglia si limita a quella di “Rocco Iannello avvenuta per il tramite di Luigi Vitrò il quale  mi disse che era un componente della Società di ’ndrangheta di Mileto con la quale trafficava stupefacenti insieme a quella dei Fiarè di San Gregorio”.

I Tavella. Sono nipoti dei Prostamo, sono presenti su San Giovanni, e “appartenevano quindi allo stesso gruppo criminale ma di persona ho solo conosciuto uno di loro, Fortunato, di persona perché presentatomi da Domenico Macrì nel corso di un funerale a Vibo”.

I GALATI, GLI OMICIDI E IL GRUPPO DI FUOCO DI PEPPE MANCUSO

I Galati. Secondo il teste gli esponenti di rilievo della famiglia erano Carmine e Salvatore Galati ma prima di loro ce n’era uno più importante: Antonio, assassinato nel 1982 dai sangregoresi, cognato di Francesco Fortuna e Nazzareno Topia. Il primo è morto sul trattore, mentre il secondo è da sempre in carcere e del quale aggiunge “di aver conosciuto anche il figlio e anche Armando Galati ma soprattutto Silvano Mazzeo il quale, pur avendo con loro legami di parentela, aveva però delle divergenze con il gruppo e questo perché Carmine era intimo amico di Gennaro Vecchio e Peppe Accorinti che riteneva, quest’ultimo, responsabile dell’uccisione del fratello”.

Di Mazzeo ricorda essere un “grosso importatore di cocaina e ricordo che poco prima della mia collaborazione mi recai da lui con Filippo Grillo per comprare della cocaina che però in quel momento aveva terminato tuttavia ci disse che stava aspettando un carico dai Paesi Bassi e che ci avrebbe conservato un pacco ad un costo di favore di 29mila euro”. Mentre Fortunato Galati “era una persona pericolosa, tant’è che si diceva aver commesso diversi omicidi, aveva anche sparato contro uno dei Mancuso, prima di trasferirsi in Brianza dove era implicato nel traffico di cocaina, al pari di Armando”.

E Su Carmine Galati il pentito ha ricordato che “ha fatto parte della “Caddara”, ma io la chiamo la squadra della morte fondata da Peppe Mancuso della quale facevano parte  Peppe Accorinti, Gennaro Vecchio e altri. Anche mio padre ne fece le spese di quel gruppo di fuoco e nonostante Peppe Mancuso lo avesse ucciso, mio nonno ce l’aveva nel cuore e questo è stato sempre motivo di scontro con lui”. Mentre “Ottavio Galati era il killer Mico Scuteri che a sua volta aveva ucciso Gennaro Vecchio”.

SALVATORE ASCONE L’UCCISIONE DI MARIA CHINDAMO

Esaurito il segmento dei clan di ‘ndrangheta su Mileto, della droga, delle faide e degli omicidi, il pentito ha parlato di altro rispondendo alle domande del pm antimafia Andrea Buzzelli. A partire da colui con l’alias “Pinnularo”, affermando che il suo gruppo si era rifornito da lui di cocaina “per il tramite di Giovanni Gallone, alias Pizzichiju”, ricordando la sua “appartenenza ai Mancuso” e il coinvolgimento nella vicenda di Maria Chindamo. All’epoca appendemmo questa circostanza dallo stesso Gallone perché si diceva che Ascone aveva dei grossi problemi la vicenda della manomissione delle telecamere nell’indagine per l’omicidio della donna”.

Diego Bulzomì (non indagato). “Lo conosco da una vita, era un mio amico di infanzia – dice poi in aula – Suo padre era un ex macellaio originario di Cinquefrondi che si è arricchito a Vibo praticando usura.  C’è stato un periodo in cui era molto legato ai Pardea e con lui ho fatto tante cose illecite – droga e danneggiamenti -, mentre in carcere ha stretto un’amicizia forte con Diego Mancuso e, negli ultimi periodi, con Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona. Era strettamente legato anche a Gianfranco ferrante del “Cin Cin bar” e si occupava di usura a livelli elevati a danni di commercianti e imprenditori. Era sposato con l’avvocato Azzurra Pelaggi (imputata al processo) ma non so altro. Siamo rimasti ottimi amici ma dal punto di vista criminale ci siamo allontanati”.

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