L'aula bunker in cui si sta celebrando il processo "Maestrale"
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All’udienza del processo “Maestrale”, il pentito Giuseppe Comito si sofferma sulle figure del clan Accorinti di Briatico, sul business delle crociere alle Eolie, sul controllo dei villaggi turistici della zona e sui danneggiamenti. E su Emanuele Stillitani dice: “Potevamo anche ucciderlo”
VIBO VALENTIA – Gli affari illeciti del clan Accorinti di Briatico, dal business delle crociere al controllo dei villaggi turistici, e non solo, nella deposizione del pentito, Giuseppe Comito, all’udienza odierna del processo “Maestrale-Carthago”, in corso di celebrazione nell’aula bunker di Lamezia, che ha risposto alle domande del pm della Dda di Catanzaro Andrea Buzzelli iniziando col parlare dei rapporti tra Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni” e Nino Accorinti, vertice dell’omonimo clan mafioso del centro costiero: “Rapporti amicali, buonissimi – ha commentato – che li portavano a spartirsi i proventi illeciti. Nino poi gestiva i villaggi a Briatico e a Pizzo in località “Difesa”.
Altra domanda del pm per far comprendere meglio al Tribunale collegiale le dinamiche criminali nel comune rivierasco del Vibonese è quella sulle figure di Salvatore Muggeri, Saverio Prostamo e soprattutto Armando Bonavita. I primi due sono identificati dal pentito come componenti, al pari di quest’ultimo, del “gruppo di fuoco che commetteva tentati omicidi e danneggiamenti al quale si univano anche Bonavita, Marco Borrello e Giuseppe Garrì”.
“MAESTRALE”: IL PENTITO SUL CONTESTO CRIMINALE A BRIATICO E LE FIGURE DI BONAVITA E BORELLO
In particolare Comito ricorda di aver conosciuto Bonavita nel momento in cui “andai nel villaggio turistico Green Garden di Briatico” riferendo che questi “era socio con Nino Accorinti e il figlio Antonio, con i quali gestiva il bar del lido Green Garden e l’hotel stesso oltre ad essere socio della motonave “Imperatrice”. In più era presente anche nella preparazione ed esecuzione di tentati omicidi”. E sulla sua figura ha ricordato il danneggiamento commesso insieme a “Muggeri e Borello di una villetta gigante a forma di nave sita in località “Brace”, sempre a Briatico, di proprietà di un imprenditore edile di Cosenza che aveva iniziato i lavori senza avvisarci. E così per fargli capire che doveva darli a noi ci fu il danneggiamento e alla fine questi fu costretto a dare l’appalto a delle ditte di fiducia di Accorinti”.
Su Marco Borello, invece, Comito ha ricordato che questi “aveva una ditta di imbianchini alla quale suo zio Nino Accorinti trovava i lavori sia per le case private che per gli hotel. Ha avuto una relazione con la moglie di una esponente criminale, Franzè a quel tempo in carcere, per la quale i gemelli Melluso, che sono parenti di quest’ultimo, volevano fargliela pagare ma alla fine non successe nulla per via dell’intervento di Accorinti”.
L’ALLONTANAMENTO TRA PINO BONAVITA E NINO ACCORINTI
Borello, poi, sposò la figlia di Pino Bonavita, “reggente della cosca nel momento in cui Nino Accorinti era in carcere” che “aveva ottimi rapporti con Ciccio Barbieri e con lo zio Peppone Accorinti (boss di Zungri) con il quale mangiava spesso insieme. E infatti – ha specificato – quando avvenne l’allontanamento tra Nino Accorinti e Pino Bonavita, quest’ultimo si avvicinò a Barbieri e Accorinti”. E la genesi di questo episodio, il pentito la fa risalire alla nascita di disguidi sull’attività di trasporto turistico via mare verso le Eolie in quanto “era risaputo che Nino imbrogliasse sul carburante, che si prendesse soldi in più anche sui biglietti”.
“I VILLAGGI DI BRIATICO ERANO SOTTOMESSI ALLA COSCA ACCORINTI” E A PIZZO “EMANUELE STILLITANI POTEVAMO UCCIDERLO”
Su Filippo Niglia, detto Lollo, il collaboratore ha riferito di conoscerlo “benissimo. Era un imprenditore nel campo agricolo che ho frequentato fino al giorno del mio arresto. Aveva un lido alla marina di Briatico attaccato a quello di Accorinti e anche un negozio di ortofrutta che gli consentiva, per via della vicinanza al clan, di rifornire i villaggi di Briatico, che erano tutti sottomessi ad Accorinti il quale imponeva personale a cominciare dalla guardiania”.
Sempre secondo il collaboratore di giustizia, i villaggi turistici dei fratelli Franco ed Emanuele Stillitani, nella zona di Pizzo, erano sotto estorsione e “non si potevano opporre altrimenti avrebbero subito attentati anche col ricorso ad ordigni” e in ultima ipotesi si “sarebbe potuti arrivare ad eliminarlo” , ha affermato Comito riferendosi ad Emanuele rispondendo alle domande della difesa dell’imprenditore imputato. Stillitani “che ha subito numerosi danneggiamenti nel corso del tempo ma non so se sono stati denunciati, tranne in una occasione” e poi, si “era recato da Nino Accorinti a seguito di uno dei danneggiamenti perché nell’ambiente si conosce chi opera nella zona e quindi aveva agito chiedendo protezione”.
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