L'aula bunker in cui sta svolgendo il processo "Maestrale". Oggi l'esame del pentito Moscato
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 IL PENTITO MOSCATO AL PROCESSO “MAESTRALE”
- 2 MAESTRALE, MOSCATO E IL CAPO ULTRAS DELLA JUVENTUS “CHE AVEVA I NUMERI DEI CALCIATORI”
- 3 MAESTRALE, MOSCATO E IL RAPPORTO CON FRANCO D’ONOFRIO
- 4 LA FAIDA CON I PATANIA E L’AIUTO DEL KILLER COL BAZOOKA
- 5 “SCRUGLI DIEDE LA VITA PER I PISCOPISANI”
- 6 “RAZIONALE, CAPO DEL CLAN DI SAN GREGORIO, SI DICEVA AVESSE UN CONTO CORRENTE IN VATICANO”
- 7 IL “MALIBÚ” SOTTO ESTORSIONE DI PEPPONE ACCORINTI E IL PESTAGGIO DI MARCO RENZI
- 8 I TRE AGGUATI FALLITI CONTRO PEPPONE ACCORINTI
Il pentito Moscato, ex azionista dei piscopisani, racconta al processo “Maestrale” i rapporti del gruppo con i clan di ‘ndrangheta di Mileto, la figura di Franco D’Onofrio e il capo ultras della Juventus “che aveva i numeri di telefono dei calciatori”
VIBO VALENTIA – È, oggi, il giorno al processo “Maestrale”, dell’esame del pentito, Raffaele Moscato, ex killer del clan di ‘ndrangheta di Piscopio, a Vibo, con alle spalle reati per omicidio, associazione mafiosa, droga, armi. Per alcuni di questi è già stato condannato – nel caso dell’agguato mortale di ’Nato Patania in via definitiva – e a questi adesso si è aggiunta la contestazione per l’uccisione in concorso di Mario Longo. Davanti al Tribunale collegiale di Vibo, presieduto dal giudice Giulia Conti, il collaboratore di giustizia ha risposto alle domande formulate dal pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci.
IL PENTITO MOSCATO AL PROCESSO “MAESTRALE”
La decisione, Moscato, ricorda di averla maturata nel marzo del 2015, subito dopo l’arresto per l’omicidio di Fortunato Patania, principalmente, spiega, “per cambiare vita e costruirmi una famiglia e poi perché non mi rivedevo più nel criminale che ero stato. Mi sono sentito marcio e perciò ho fatto questa scelta”.
Moscato non esita a riferire che questi erano costanti, specificando “che su Mileto città i piscopisani stavano a sentire solo una persona, Silvano Mazzeo, per droga, armi e rapine”. Un soggetto “di vertice, inserito nella ‘ndrangheta, tanto da avere un tatuaggio di San Michele con cui abbiamo fatto anche una rapina ad un gioielliere di Mileto”. E proprio di Mileto, poi, era “originario Franco d’Onofrio” (ex militante di “Prima Linea” e fautore della riattivazione della Locale di Sant’Onofrio, ndr) già imputato nell’operazione “Minotauro”.
MAESTRALE, MOSCATO E IL CAPO ULTRAS DELLA JUVENTUS “CHE AVEVA I NUMERI DEI CALCIATORI”
Il pentito aggiunge di aver avuto rapporti con Fortunato Mesiano e con Roberto Currà con cui una volta “siamo andati a cena al ristorante “Batò” a Vibo Marina con Rosario Battaglia e uno dei fratelli Fortuna, un certo Giacomo, un siciliano che faceva parte della ’ndrangheta e che aveva un fratello di nome Achille. Era un capo ultras della Juventus, tanto da avere un tatuaggio con l’immagine della squadra sul braccio destro e aveva i numeri di telefono di numerosi calciatori, da Buffon a Del Piero”.
MAESTRALE, MOSCATO E IL RAPPORTO CON FRANCO D’ONOFRIO
È un soggetto conosciutissimo, afferma Moscato, aggiungendo che “se tutto il gruppo di piscopisani non accettava consigli da alcuno, quando invece, a darli era D’Onofrio nessuno parlava: Quando apriva bocca loro lo ascoltavano senza proferire parola”. Una figura di spessore assoluto, quasi un dio per le giovani leve del clan che lo identificavano come “l’equivalente di Luigi Mancuso, un personaggio dai mille volti, non un semplice affiliato alla ’ndrangheta o un capocosca. Fu sufficiente mettere una parola con la ’ndrangheta di “Polsi” per far aprire un Locale, il nostro, laddove altri, in generale, con uno score criminale di 30 anni non c’erano mai riusciti”. E durante la guerra contro i Patania se D’Onofrio diceva che bisognava mobilitarsi, “anche i bambini avrebbero dovuto farlo”. Moscato ricorda che quest’ultimo aveva “anche una clinica per malati con problemi mentali che gestiva dal carcere oltre ad un supermercato che gestiva il figlio”.
LA FAIDA CON I PATANIA E L’AIUTO DEL KILLER COL BAZOOKA
Tra il 2011 e il 2012 tra Stefanaconi-Piscopio-Vibo Marina si scatena la faida tra i Patania e i piscopisani. Franco D’Onofrio scende in campo a sostegno di questi ultimi. Non fisicamente, perché si trovava recluso a Torino in carcere, ma con un apporto allo stesso tempo rilevante: “Aveva mandato un certo Roberto a sostenerci nella nostra faida. Questi avrebbe potuto posizionarsi sopra la collina che dominava la Valle del Mesima e, armato di Bazooka, poteva sparare nel momento in cui i nostri nemici si riunivano presso la loro area di servizio”. Ma non fu l’unico killer offerto da D’Onofrio al gruppo: “Ci aveva dato fornito un altro nominativo, un tipo di Giussano o Mariano Comense, solo che Rosario Battaglia, per orgoglio, declinò l’offerta perché voleva vedersela da solo”.
“SCRUGLI DIEDE LA VITA PER I PISCOPISANI”
Con la carcerazione del boss Andrea Mantella, seppur nella detenzione quasi dorata della clinica cosentina “Villa Verde”, il suo braccio destro, Francesco Scugli, si avvicinò al gruppo dei piscopisani, sposandone la causa soprattutto durante la faida contro la cosca Patania di Stefanaconi. Una scelta che avrebbe pagato a caro prezzo il 21 marzo 2012 a Vibo Marina: “Lui era totalmente votato alla nostra causa – ha asserito Moscato – tanto da prendersi i proiettili che erano invece destinati a Rosario Battaglia la sera dell’agguato in cui lui fu ammazzato e io e Battaglia restammo gravemente feriti”. Quella sera i killer dei Patania attesero i tre sulle scale di un appartamento in via Arenile e aprirono il fuoco.
“RAZIONALE, CAPO DEL CLAN DI SAN GREGORIO, SI DICEVA AVESSE UN CONTO CORRENTE IN VATICANO”
Per Moscato, Diego Bulzomì (non imputato al processo) è un soggetto che, “pur facendo parte di una famiglia perbene, praticava usura a Vibo Valentia e impiegava i soldi che gli dava Saverio Razionale, figura con altissimo spessore criminale a capo della locale di ‘ndrangheta di San Gregorio d’Ippona. Di quest’ultimo si diceva addirittura che avesse un conto in Vaticano. Quindi, in virtù di questa vicinanza Bulzomì era intoccabile”.
IL “MALIBÚ” SOTTO ESTORSIONE DI PEPPONE ACCORINTI E IL PESTAGGIO DI MARCO RENZI
Il noto locale sito in contrada “Colamaio”, a Pizzo, sarebbe stato sotto estorsione da parte di Peppone Accorinti. La circostanza Moscato la illustra facendo riferimento a un episodio avvenuto nel 2008-2009: “Questi del “Malibu” davano a tutte le ’ndrine circa 50 tickets per entrare gratuitamente nel locale. Ai piscopisani invece ne elargivano 25 e questo non poteva essere tollerato. Quindi salì a Vibo con un certo Andrea e Rosario Fiorillo e ci recammo da Marco Renzi che insieme ad altri gestiva la struttura, a cui spaccai la testa, tanto che anch’io finì in ospedale per una ferita alla mano”.
Il collaboratore aggiunge che poco dopo venne “Fiorillo a dirmi che, nel caso in cui mi avesse chiamato Accorinti, di non recarmi da lui, ma di avvertirlo che sarebbe andato con quelli del mio gruppo. E così fu. Andarono a parlare con Peppone dicendogli che io appartenevo a loro e che quindi non dovevo essere toccato anche se lui aveva risposto che mi voleva solo conoscere. Lì ho avuto contezza che il Malibù interessava a Peppone perché gli passavano l’estorsione”.
I TRE AGGUATI FALLITI CONTRO PEPPONE ACCORINTI
Il boss di Zungri sarebbe stato nelle mire dei piscopisani che lo volevano far fuori perché erano sorte delle frizioni nel tempo e perché “lui era una cosa unica con Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” che era il nostro obiettivo principale durante la nostra guerra contro i piscopisani”. Ma i tre tentativi messi in atto non andarono a buon fine: “Lo avevamo appostato davanti allo studio di un dentista a Vibo Marina presso cui si recava per dei permessi ma in quel periodo non si presentò. Rosario Fiorillo si metteva dietro la porta di casa mia, che era di rimpetto a quella del professionista, e quando Accorinti arrivava lo avrebbe dovuto uccidere”.
In un altro frangente “lo dovevamo prendere nel quartiere “Pennello”, sempre a Vibo Marina – aggiunge il pentito – dopo aver rapinato un pescatore della sua Mazda Sw e che portammo a Piscopio ma che il giorno dopo venne ritrovata perché vi fu una segnalazione di qualche persona che erroneamente pensava che fosse in programma un agguato nei nostri confronti”. Una terza volta “rubammo un’auto, il nostro obiettivo era vestirci da poliziotti e fingere un posto di blocco per fermare Accorinti e ucciderlo, ma non ci riuscimmo”.
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