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Giancarlo Pittelli

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Vibo: la Dda ricorre per Pittelli; in 1.600 pagine l’appello contro le assoluzioni e le pene ritenute non congrue in Rinascita-Scott. Per i pm la sentenza non chiarisce il rapporto di do ut des col colonnello


VIBO VALENTIA – Sono oltre 1.600 le pagine dei motivi di appello avanzati dalla Dda di Catanzaro nei confronti di 67 imputati al processo “Rinascita-Scott”. Appello verso chi ha ricevuto una sentenza assolutoria o un verdetto non consono, a parere dell’accusa, rispetto a quello richiesto in fase di requisitoria. E tra gli imputati principali figura inevitabilmente l’avvocato Giancarlo Pittelli, condannato a 11anni per concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreto d’ ufficio (a fronte dei 17 richiesti) la cui posizione è legata a quella del colonnello dei Carabinieri Giorgio Naselli (per lui 2 anni e 6 mesi contro gli 8 invocati per rivelazione di segreto d’ ufficio) –anche per lui c’è il ricorso della Dda – e di Rocco Delfino.

Gli imputati venivano assolti dal reato di abuso d’ufficio con la formula “perché il fatto non sussiste” poiché per il Collegio non risultano integrati tutti gli elementi costituitivi del reato. Con particolare riferimento all’ingiusto vantaggio patrimoniale che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe conseguito alla ritardata adozione del provvedimento interdittivo, atteso che – come dichiarato dalla testimone Di Silvestro, Vice Prefetto di Teramo e come si evince dalla documentazione esaminata – non risulta che l’ufficiale dell’Arma abbia in alcun modo inciso sull’andamento naturale del procedimento amministrativo. Sicché l’istigazione di Pittelli che suggerisce a Naselli di «far decantare la pratica» è rimasta priva di seguito.

PER L’ACCUSA IL RICORSO SOTTO UN DUPLICE PROFILO

Tuttavia, per l’accusa tali determinazioni non sono condivisibili e pertanto il ricorso vi è articolato sotto un duplice profilo: la riqualificazione della fattispecie relativa all’utilizzazione di notizie di ufficio, che debbano rimanere segrete per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale e alla rivelazione di segreto d’ufficio); in più il mancato riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

La riqualificazione del titolo di reato

Ebbene, secondo la Dda la sentenza di primo grado «tace sui motivi della riqualificazione del titolo di reato. Inoltre il Tribunale ha omesso di valutare le emergenze dibattimentali evincibili dalla deposizione del Capitano Contini, del Maggiore Vincelli e del Lgt Flavio Ercoli, nonché dal corposo compendio intercettivo che consentono di inquadrare la condotta nell’alveo dell’art. 326 comma 3 c.p., in considerazione del fatto che il colonnello Naselli, in epoca coeva e nel corso delle stesse conversazioni nelle quali accoglieva l’istigazione di Pittelli e poneva in essere la condotta di rivelazione, affrontava con il predetto difensore l’argomento del posto di lavoro per il figlio».

Allo stesso tempo, l’accusa segnala che la «modalità do ut des era una costante nel rapporto Pittelli-Naselli» ed evidenzia che oltre al riferimento al «vantaggio indebito relativo all’impiego lavorativo del figlio dell’ufficiale ed al coinvolgimento nell’“affare Copanello”, emergeva anche che Naselli aveva già avuto altre contropartite in passato».

L’aggravante dell’agevolazione mafiosa

Per quanto concerne l’aggravante, si rileva che la circostanza di essersi, il colonnello, interfacciato esclusivamente con Pittelli non appare in alcun modo idonea ad escludere l’elemento soggettivo in ordine all’agevolazione di un soggetto intraneo alla ‘ndrangheta ed inserito con veste apicale nella cosca Piromalli (Delfino)”. E le informazioni oggetto di rivelazione «venivano chieste nell’ambito di un procedimento antimafia nei confronti della società M.C. Metalli Srl, pendente dinnanzi alla Prefettura di Governo di Teramo per l’adozione del provvedimento finale».

«La misura di prevenzione rappresentata dall’interdittiva antimafia, avrebbe avuto una serie di conseguenze con riferimento ai rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione». Si tratta, spiega ancora la procura distrettuale di un “procedimento ben noto a chi riveste la qualifica di Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri – in precedenza con incarichi operativi e investigativi -oltre che componente del Comitato provinciale per l’ordine e sicurezza pubblica e del Gruppo di lavoro interforze che interviene nelle riunioni riservate in Prefettura per l’adozione del provvedimento ed al quale può partecipare personalmente o per il tramite di un suo delegato”.

A ciò vengono aggiunte le «molteplici le conversazioni dalle quali si comprende che il problema correlato alla misura interdittiva in corso di emanazione è rappresentato dall’intestazione fittizia della Mc Metalli Srl ad un prestanome di un soggetto, Rocco Delfino, con trascorsi giudiziari importanti, a cui Naselli fa plurimi e inequivoci riferimenti».

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