X
<
>

Share
5 minuti per la lettura

Il pentito Emanuele Mancuso al processo “Maestrale” ha raccontato come il clan considerasse la prostituzione di cattivo gusto al punto di arrivare alla cacciata delle prostitute da Limbadi


VIBO VALENTIA – Anche i clan di ’ndrangheta hanno le proprie regole. Questo è fatto notorio. Ma che alcune consorterie, al contrario di altre, vedano la prostituzione di cattivo gusto non è certo all’ordine del giorno. Eppure succede a Limbadi dove la cosca Mancuso ad un certo punto, non tollerando più la situazione, ha deciso di cacciare dal proprio territorio tutte le squillo che erano solite piazzarsi sui cigli delle strade in attesa dei clienti. Una presenza, quella delle prostitute, che evidentemente ammantava di negatività il nome della famiglia oltre ad focalizzare su di loro i controlli delle forze dell’ordine.

I MANCUSO E LA CACCIATA DELLE PROSTITUTE DA LIMBADI

La circostanza è emersa al processo “Maestrale” nel corso dell’esame del collaboratore Emanuele Mancuso, ex rampollo del casato mafioso di Limbadi. Un aneddoto curioso raccontato dal pentito in un breve passaggio in cui ricordava appunto che tempo fa “nelle zone a cavallo tra Limbadi e Rosarno c’era una assidua presenza di squillo e così i Mancuso decisero la loro cacciata dal territorio per essere mandate in quello vicino di Rosarno”. La zona era quella lungo la Statale a cavallo tra i due territori.

Il concerto di Gigi D’Alessio. Un ulteriore episodio riferito dal collaboratore è stato quello che gli avrebbe raccontato Domenico Mancuso, alias “The Red”, sulla concessione gratuita di un terreno, sito accanto al villaggio Sayonara, di fatto gestito dal clan, “da parte di Tinuccio Ranieli, proprietario della struttura, a Ferraro e Rizzo della mia famiglia, che erano associati” a una nota emittente radiofonica nazionale “per consentire lo svolgimento del concerto di Gigi d’Alessio. In cambio a loro riconoscevano solo un tot di biglietti per chi soggiornava all’interno del villaggio”.

I MANCUSO AL DI LÀ DELLA CACCIATA DELLE PROSTITUTE DA LIMBADI: SALVATORE ASCONE

Sull’imputato, detto “U pinnularu”, Manuco ha riferito di averlo conosciuto “prima del 2014 perché con un altro narcotrafficante veniva spesso presso la villa di mio padre. Con lui ho avuto una frequentazione più assidua dopo il  2014, quando ho iniziato a vendere tanta cocaina, diventando quasi un figlio e lui per me era un mentore. Nella mia famiglia era il top nel settore insieme a Giuseppe Gallone detto “Pizzichju”. All’inizio mi rifornivo da lui per un paio di chili al mese.

All’interno del clan era tra i soggetti più influenti, quello con le maggiori disponibilità economiche, colui il quale si occupava del sostentamento dei detenuti, soprattutto del gruppo dei “Sette”, e in particolare verso Pino “Bandera”, fratello di “Scarpuni” al quale mandava puntualmente ogni quota. Dopo la rottura con il gruppo di Peppe ’Mbrogghjia lui è stato furbo a rimanere in disparte mantenendo i rapporti sia con quell’ala che con quella di “Scarpuni” e di mio padre. Quando è uscito Luigi Mancuso la famiglia si è ricomposta e tutto è tornato alla normalità”.

AGGANCI CON LE FORZE DELL’ORDINE

Il collaboratore ha ricordato che Ascone gli ha raccontato di aver speso “per un procedimento penale a suo carico circa 400mila euro, quando era stato accusato dai Giampà”, e inoltre “che aveva saputo del suo arresto prima che avvenisse in virtù delle sue conoscenze nelle forze dell’ordine. E infatti si era dato alla latitanza. Alla fine venne assolto e non so come abbia fatto. A difenderlo erano Sabatino e Staiano, ma quest’ultimo non l’ho mai visto a casa sua. So che aveva agganci con le forze dell’ordine e uno di questi era in comune con noi” ha aggiunto Mancuso ma senza però dire il nome in quanto stoppato dal pm De Bernardo.
Ad ogni modo ha ribadito il concetto: “Dei rapporti con le forze dell’ordine ne avevo parlato con mio zio Luigi Mancuso; un giorno in campagna ne discutemmo insieme a mio cugino Giuseppe. Ragionando sul fatto che soggetti come Assunto Megna, Giuseppe Gallone e Ascone potessero avere rapporti addirittura con i servizi segreti. Tuttavia sapevamo che almeno gli ultimi due avevano agganci ad altissimi livelli”.

ASCONE E I TERRENI

Per il teste, Salvatore Ascone “era delegato da mio padre e da Diego Mancuso per interfacciarsi con i Bellocco e Cacciola per la guardiania dei terreni tra Limbadi e Rosarno e verificare le compravendite. A livello personale aveva un interesse particolare nell’acquistare i fondi agricoli e investirne i soldi. Ti esauriva talmente tanto che ti portava al punto che dovevi vendere la tua proprietà e al suo prezzo. E di terreni ne ha una marea su Nicotera, senza contare quelli che non gli sono intestati”.

LA VICENDA CHINDAMO

Mancuso ha ricordato di aver tolto su richiesta di Ascone una telecamera delle forze dell’ordine, posizionata sopra una quercia, che si trovava nei pressi del ponte e che riprendeva la strada che porta verso Nicotera da un lato e verso Rosarno o Mileto dall’altro. “Era ben nascosta, ben mimetizzata”, ha affermato, non ricordando però se questo episodio sia avvenuto prima o dopo la scomparsa della donna:  “Ascone venne da me dicendomi di rimuoverla senza fornirmi spiegazioni e ricordo che andai a farlo con De Certo e Perfidio e la smontai”. 

Infine sulla figura di Antonio Storniolo, il teste, compulsato dalle domande del pm della Dda, Antonio De Bernardo, ha riferito che questi “gestiva le linee di autobus per conto della mia famiglia e  ricordo che veniva a casa mia dove ci portava i soldi”. 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE