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Comune di Vibo Valentia

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Il consiglio di Stato dà ragione al comune di Vibo Valentia nella battaglia giudiziaria contro la societàLigeam” che dovrà dare un risarcimento di 2,6 milioni di euro.


VIBO VALENTIA – Il match giudiziario alla fine l’ha vinto Comune di Vibo nei confronti del quale il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso nella causa contro la società Ligeam a cui chiedeva – e adesso si è visto dare ragione – un risarcimento da 2,6 milioni di euro a seguito dell’interdittiva antimafia che aveva colpito la stessa e che aveva – per come da contratto – fatto scattare la penale. La controversia riguarda la risoluzione dei contratti del 28 aprile 2006, del 4 febbraio 2009 e del 12 aprile 2019, inerenti la realizzazione di interventi di efficienza energetica, ampliamento ed adeguamento normativo sugli impianti comunali e alla gestione del servizio d’illuminazione pubblica, da parte del Comune e nei confronti di Ligeam guidata da Santo Lico che, ricorrendo alla magistratura amministrativa, ne aveva chiesto l’annullamento nonché del verbale di consegna degli impianti al nuovo operatore economico individuato nel frattempo all’ente locale.

Il Tar Calabria, esattamente un anno fa, aveva in parte accolto il ricorso annullando la determina del 2022 – afferente alla risoluzione dei contratti – e in altra parte giudicandolo inammissibile. Da parte sua, il Comune di Vibo ha presentato appello al Consiglio di Stato sulla prima determinazione del Tar, invocandone l’annullamento.

IL RICORSO DELLA LIGEAM

Su questo punto il Cds spiega che quella determinazione dirigenziale «non contrasta ma costituisce la conseguenza del decreto prefettizio antimafia» e che quest’ultimo, «non essendo stato impugnato e non essendone quindi venuti meno gli effetti, né potendone essere indagata la legittimità, supporta e giustifica la risoluzione del rapporto di lavoro. In particolare all’ente locale, in presenza di un decreto prefettizio avente il contenuto sopra descritto, è intestato l’obbligo di rispettarlo in quanto efficace e adottato dall’Ente competente». In tale senso quella determinazione è «atto vincolato, non potendo il Comune non considerare il termine di efficacia della gestione straordinaria ivi prevista, con la duplice conseguenza che l’Amministrazione si è attivata per garantire la prosecuzione del servizio pubblico anche una volta intervenuta la scadenza della gestione straordinaria e che ha dichiarato la risoluzione del contratto a partire da quella data».
E la prima conseguenza è stata la ricerca di un nuovo operatore aderendo alla convenzione Consip ed individuandolo nella “Servizio Luce 4”City Green Light. Il Consiglio di Stato spiega al riguardo che l’avvicendamento contrattuale è nel caso in questione un atto dovuto, atteso che la «gestione straordinaria presenta un espresso limite di efficacia, decorso il quale diviene attuale, in capo alla società appellante, l’impedimento derivante dall’interdittiva antimafia; sicché non è la convenienza economica del contratto a costituire la giustificazione della sottoscrizione del nuovo contratto ma l’esigenza di effettuare l’avvicendamento». Infine, i profili di patrimoniali collegati alla risoluzione contrattuale non debbono necessariamente essere contenuti nel provvedimento dichiarativo della risoluzione, potendo essere regolamentati in altro atto. Da qui il rigetto del ricorso della società.

L’APPELLO DEL COMUNE DI VIBO E IL RISARCIMENTO

Il Comune, come detto, ha chiesto un risarcimento alla Ligeam di 2,6 milioni di euro. Il consiglio di Stato spiega che la clausola penale è intesa a «rafforzare il vincolo contrattuale e a stabiire preventivamente la prestazione cui è tenuto uno dei contraenti qualora si renda inadempiente, con l’effetto di limitare a tale prestazione il risarcimento, indipendentemente dal danno effettivo» ed evidenzia pertanto che nel caso in questione essa è stata prevista per il caso in cui l’appaltatore risulti – com’è avvenuto – destinatario di interdittiva antimafia, evento che non costituisce un «fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata» ma è piuttosto riconducibile alla condotta dell’impresa, potendo quindi giustificarne l’applicazione.

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