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ROMA – È il redditizio settore dei carburanti ad interessare la famiglia Mancuso. Circostanza già emersa nell’inchiesta “Petrolmafie” e confermata adesso dall’indagine della Dda di Roma di ieri, stralcio di quella più corposa denominata “Assedio”, che ha portato ad indagare anche quattro vibonesi ritenuti i referenti nella Capitale della consorteria di Limbadi. Le attività investigative si sono focalizzate sullo scenario della criminalità organizzata che ha permeato Roma, estendendo la zona d’interesse fino all’area pontina, ed hanno consentito di accertare l’esistenza di una consorteria che coordina gli interessi dei principali gruppi criminali stabili su altri territori dello Stato.
“Un sistema che ha lentamente penetrato attività imprenditoriali, apparentemente legali, operanti in diversi settori economici. il sistema ha coltivato aderenze nelle Istituzioni e ha messo in piedi e affinato tecniche di riciclaggio attraverso la costituzione di società ‘cartiere’, mere scatole vuote per emettere false fatture, il tutto reso possibile dalle connivenze di imprenditori, liberi professionisti e uomini con compiti di manovalanza”, rileva il gip nell’ordinanza. Ma non solo i Mancuso erano interessati al settore carburanti. Questi infatti dovevano dividersi il territorio con i principali clan di camorra napoletana, come i D’Amico/Mazzarella che hanno utilizzato attività imprenditoriali lecite per riciclare i proventi delle attività camorristiche, i Casalesi e le cosche di Morabito e Piromalli del Reggino.
Macori, dalla destra eversiva a referente delle cosche
Centrale è ritenuta la figura di Roberto Macori che rappresenta lo snodo dell’ecletticità: maturato nella destra eversiva romana, all’ombra di Massimo Carminati, è divenuto prima l’alter ego di Gennaro Mokbel, per poi legarsi a Michele Senese. Diventa il principale referente dei clan calabresi Morabito e Mancuso nella gestione degli interessi economici in quella che è l’attuale frontiera, come dimostrano le numerose indagini, di tutte le principali associazioni mafiose italiane: il settore della commercializzazione dei prodotti per carburanti all’interno delle cui dinamiche i clan napoletani hanno certamente un ruolo chiave ma che vede, come punto di snodo, proprio il sistema romano. Cura per conto dei Mancuso (rappresentata a Roma da Antonio Brigandì) e dei Mazzaferro (rappresentata da Nicolà Sfara) gli investimenti di ‘ndrangheta, nel settore dei petroli per il tramite dell’imprenditore Piero Monti e attraverso l’acquisizione di importanti depositi di carburanti (la Fratelli Vianello Srl) nonché la fondazione del gruppo Mediolanum, progetti nei quali i clan calabresi hanno direttamente investito.
L’imprenditore dei clan
Macori si posiziona alle spalle di Piero Monti, suo sponsor nel progetto di espansione in Veneto con l’acquisizione del deposito fiscale “F.lli Vianello, che vedrà i Mancuso e Mazzaferro quali finanziatori delle operazioni illecite: dalle indagini emerge che è stato acquisito grazie all’intervento di Antonio Cristofer Brigandì per il tramite di Macori e Monti”. Da parte sua, Monti si presenta come espressione di un complesso sistema criminale costituito dagli interessi delle più potenti famiglie di ‘ndrangheta e delle frange mafiose della Capitale rappresentate da Macori e dal clan Senese. I referenti del clan di Limbadi nelle fasi di subentro della Mediolanum Oil Srl nel deposito hanno agevolato il passaggio del controllo da Denis Baldan a Piero Monti ed è quest’ultimo a sottolineare in una conversazione intercettata con Alberto Coppola di essere il terminale della cosca calabrese “Stava a pezzi in quel momento… se non c’eri te stavamo rovinati… io non ho usufruito di questo, Alberto! … omissis … eh … ti posso assicurare che … lui dice che… tutte… chi è Felice D’Agostino…? io dico… chi è Piero Monti? E chi c’è dietro Piero Monti? Perché dietro Piero Monti c’è la famiglia Mancuso, eh! Che vengono a mangiarti a morsi in faccia … omissis … perché questo… si deve sapere … perché tu intanto le sai queste cose, è inutile che tanto te le nascondo, no? Ok? E quando mi viene a dire, dall’alto dei suoi cento milioni… quelli che avrai… io faccio la guerra di vent’anni a tutti i clan che ci sono… a me già uno che mi dice delle cose del genere, io penso che sia un esaltato fuori di testa…”.
Le manovre per eludere lo Stato
Per eludere i controlli fiscali dello Stato, Monti crea un sistema che si fonda sulla creazione di un filtro istituzionale tra le mafie e l’economia legale basandosi sulla creazione di un Cda credibile frapponendolo tra il mercato e gli interessi illeciti alla base per poter defilarsi dall’azione di controllo; e se come nel suo caso il Cda è composto da personalità del settore, allora addirittura i vantaggi sarebbero ulteriori tanto da consentirgli di poter incrementare il volume di affari. E sarebbe stata proprio la cosca Mancuso ad eterodirigere il Cda attraverso il vibonese Andrea Betrò per come riferisce sempre Monti: “omissis … io ti presento Andrea Betrò… omissis … tu basta che parli con Andrea che è il mio amministratore delegato ok? è una potenza… ha 37 anni… Andrea domenica te lo porto … omissis … domenica lui viene a Roma perché deve venire a parlare con… omissis … cazzi, mazzi, qualsiasi cosa ti serve… tu sai che devi fare? posso darti un consiglio? finisci il deposito e vendilo a te stesso…omissis … eh! e poi di do tutto il Cda che ti pare.. … omissis … e te ne togli proprio … vuoi il Cda mio? me lo compro io … con la Mediolanum… omissis … io mi trasferisco … la mia… il mio… a me la licenza me la danno diretta … omissis …non facciamo sapere a nessuno i cazzi nostri … tu hai affittato il deposito alla Mediolanum oil … ok? Omissis…”. Betrò, secondo l’indagine, ha reso possibili le decisioni strategiche indicate da Antonio Brigandì per conto del clan Mancuso e da Macori, assumendo incarichi formali nelle società gestite dall’associazione con la piena consapevolezza che gli investimenti erano provenienti dalla criminalità organizzata mafiosa.
“Non sai come siamo fatti”
È stato lo stesso Brigandì a delineare la sua appartenenza al mondo criminale, quando lamentandosi con Macori del comportamento irrispettoso di Monti, spiega cosa voglia dire contrariare la sua “famiglia”: “…non ha capito una cosa di come siamo fatti ..() …tu con me ci litighi … mi vuoi denunciare … mi vuoi … ma tu pensi che noi siamo diventati quelli che siamo perché …(,)… e Macori completa la frase “… perché ci facciamo denunciare dalla gente e ci stiamo zitti?…”.
Quale esempio delle conseguenze in cui potrebbe incorrere il Monti, Brigandì fa intendere un suo diretto coinvolgimento in un attentato “… per quel pezzo di terra … tu la vedi la televisione…? per quel pezzo di terra … (,)…io ho fatto volare in aria a quello!! …(,) … un pezzo di terra di 20 mq…”. Frase che fa venire in mente l’attentato di Limbadi del 9 aprile 2018 in cui perse la vita Matteo Vinci anche se non vi sono riferimenti specifici in questa parte dell’intercettazione.
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