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Gli avvocati penalisti contro lo spostamento del processo Maestrale Carthago da Vibo a Lamezia e annunciano la protesta. “La corte d’Appello ci ha negato di sapere i motivi, umiliando la categoria”
VIBO VALENTIA – L’auspicio è che dalla Corte d’Appello vi sia un’apertura al dialogo ma in caso contrario è pronto già un pacchetto di iniziative di protesta che prevedono anche l’astensione per cinque giorni dalle udienze e una contestuale iniziativa pubblica per accendere ulteriormente i riflettori sulla vicenda.
Camera Penale e Ordine degli avvocati di Vibo viaggiano dunque uniti e ricevono il supporto degli organismi regionali perché, affermano, la questione riguarda non solo il territorio vibonese ma interessa, e continuerà ad interessare, anche gli altri territori. E la questione è quella – per come riferito in precedenti articoli – dello spostamento del maxiprocesso “Maestrale-Carthago” dall’aula bunker del Tribunale nuovo della città a quella di Lamezia che ha indotto i professionisti calabresi a proclamare lo stato di agitazione.
Una decisione adottata senza che venisse addotta una motivazione se non quella dei non meglio precisati motivi di sicurezza è il rilievo mosso dalla categoria forense locale (e non) che questa mattina si è riunita – su impulso della Camera Penale – presso la sede dell’ordine provinciale per discutere sulle misure da adottare. Un dibattito introdotto dal presidente dell’Ordine, Franco De Luca, di quello dei penalisti vibonesi, Pino Aloi, e dal coordinatore delle Camere penali calabresi (e vertice di quella di Palmi) Giuseppe Milicia, alla presenza di diversi esponenti del Foro, tutti concordi nello stigmatizzare la decisione della Corte d’Appello di spostar in corsa il dibattimento superando l’ordinanza della precedente presidente del Collegio giudicante, Tiziana Macrì, che aveva ritenuto l’aula di Vibo idonea allo svolgimento delle udienze.
La struttura lametina, sita nell’area industriale, è tecnologicamente avanzata ma quasi sempre vuota. Nelle prime due udienze di “Maestrale” erano infatti presenti una trentina di persone: tra i 10 e i 20 avvocati (che si riducevano ad una mezza dozzina nelle ore pomeridiane), più il pm, i tre giudici, personale della cancelleria e forze dell’ordine, quindi una densità certamente compatibile con la sede di Vibo, per come hanno sottolineato i penalisti lamentando anche altri disagi, tra l’altro fatti mettere a verbale nell’ultima udienza del maxiprocesso: l’assenza di un punto di ristoro e il parcheggio dei mezzi privati a circa 300 metri dalla struttura sempre “per non meglio precisati motivi di sicurezza” anche se “il Comitato per l’ordine e la sicurezza aveva escluso problemi di ordine pubblico”.
E al riguardo si è parlato di “atteggiamento da Stato autoritario che copre addirittura motivazioni di decisioni che coinvolgono categorie intere. Un’assurda mancanza di trasparenza. Dicano perché Lamezia è sicuro e Vibo no in quanto in questo modo passa il messaggio che lo Stato non è in grado di garantire la sicurezza”.
C’è stato, poi, anche chi ha ventilato l’ipotesi della necessità di tenere “in vita” la sede lametina, sede oltre che di Maestrale di altri due procedimenti penali tra cui “Reset”, per “giustificare una spesa di oltre 4 milioni di euro”. Altri hanno evidenziato l’esigenza di coinvolgere la politica esortandola a prendersi le proprie responsabilità che “sono venute meno allorquando, in occasione di “Rinascita-Scott” si era aperta la possibilità di realizzare l’aula bunker a Vibo nel palazzetto dello sport di località “Maiata”. Chiaramente alla fine si è capito che non c’erano i tempi per eseguire in tempo i lavori e si è virati su Lamezia ma è indubbio che un processo che riguardi le cosche vibonesi deve svolgersi sul medesimo territorio”.
Aloi, De Luca e Milicia hanno puntato inoltre sulla necessità di un maggiore coinvolgimento di tutta la categoria forense calabrese “per avere maggior forza nelle rivendicazioni avanzate”.
Il dibattito si è prolungato per tutta la mattinata arrivando ad una sintesi con una serie di iniziative messe sul tavolo: in primis attendere una apertura dalla corte d’Appello e degli uffici giudiziari in mancanza della quale ci sarà una astensione di cinque giorni dalle udienze su base regionale che si dovrebbe svolgere a settembre, in quanto il 10-11-12 luglio né è già programmata un’altra, e la contestuale organizzazione di una giornata di manifestazione simbolica nella città di Vibo, verosimilmente davanti al palazzo di giustizia, che prevederà anche la presenza di esponenti di vertici dell’avvocatura nazionale.
Quella che si sta conducendo è quindi “una battaglia per il territorio, per gli indagati che devono essere giudicati in un giusto processo che presuppone anche condizioni logistiche idonee, e a garanzia della giurisdizione altrimenti avremo finito di far celebrare i maxiprocessi a Vibo”. Noi chiediamo solo quello che il codice prevede”.
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