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Andrea Mantella

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Le ’ndrine di Mileto e le faide per il dominio del territorio: al processo “maestrale” l’esame del pentito Andrea Mantella che sull’ex dirigente dell’Asp, Pasqua, dice: “Un massone di una loggia coperta, intraneo ai Mancuso”


VIBO VALENTIA – La conoscenza delle cosche di ’ndrangheta operanti nella zona di Mileto è stato il primo tema  esplorato ieri  – a domande poste  dal pm della Dda, Antonio De Bernardo – dal collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, assistito dall’avvocato Manfredo Fiormonti sostituito ieri dalla collega Maria Greco, all’udienza del processo “Maestrale” che si sta svolgendo presso l’aula bunker di Lamezia.

UDIENZA SOSPESA

Fuoriprogramma durante l’esame del test che ha costretto ad una sospensione dell’udienza per un paio d’ore (LEGGI). Il motivo, reso noto dal pm della Dda, Antonio De Bernardo, che a sua volta l’ha appreso dal Nop (Nucleo operativo di protezione), afferiva alla situazione del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, che fino a quel momento stava sostenendo l’esame come teste a carico della Procura antimafia. Sembra infatti che qualcuno dal collegamento dal sito riservato si sia lasciato inavvertitamente sfuggire il luogo in cui in quel momento si trovava l’ex boss di Vibo, collegato via audio-video con l’aula.

«Signor presidente – ha esordito il magistrato – sono stato informato dal Nop di una situazione molto seria per la sicurezza del collaboratore e pertanto ritengo che nessuno possa correre il rischio di mettere in pericolo l’incolumità del signor Mantella. Chiediamo, quindi, immediatamente la sospensione dell’udienza nelle more che nel frattempo il problema o l’eventuale spostamento del teste qualora dovessero persistere i rischi segnalati».
A questo punto, la presidente del Collegio, Giulia Conti, ha disposto la sospensione dell’udienza per verificare se il problema fosse risolvibile in questo lasso di tempo con il trasferimento di Mantella in altro sito. Udienza che, poi, è ripresa verso le 15.15.

MAESTRALE, LE ‘NDRINE DI MILETO: LE CONOSCENZE NELLA ZONA DI PARAVATI E SAN GIOVANNI

Sull’influenza mafiosa in questa frazione di Mileto, il collaboratore ha riferito che le sue conoscenze «non sono molto approfondite» pur ricordando la presenza «di esponenti della famiglia Evolo prima di essere sterminata nella faida in corso contro i Pititto-Prostamo-Iannello», mentre più completa è quella sulle famiglie di San Giovanni di Mileto: «C’erano Peppe e Nazzareno Prostamo, quest’ultimo “ala militare” del gruppo,  nonché Pasquale Pititto, che in una prima fase, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, era subordinato al primo in quanto capo della cosca. E con loro ho avuto rapporti diretti», ha commentato il collaboratore raccontando un episodio che riportiamo di seguito.

IL PROGETTO OMICIDIARIO DI PROSTAMO E L’INTERVENTO DEI BONAVOTA

Mantella localizza temporalmente l’evento nel 2004-2005: «Dovetti intervenire insieme al gruppo dei Bonavota, quindi Domenico Bonavota, Francesco Fortuna, Francesco Scrugli e Onofrio Barbieri, per evitare che Pasquale Pititto uccidesse Peppe Prostamo perché erano sorti contrasti tra i due nonostante i vincoli di parentela. Quindi ci recammo da lui, a San Giovanni di Mileto, su due auto, ovviamente tutti armati perché sapevamo che non era uno sprovveduto, tant’è c’è c’erano suoi uomini posti a guardia. Volevamo scongiurare questa circostanza perché la famiglia Prostamo aveva dato una mano militare a Vincenzo Bonavota nella faida a Sant’Onofrio negli anni ’90. In quell’occasione, uno dei fratelli Prostamo, insieme a Pasquale Bonavota e Domenico e Bruno Cugliari, attirò in trappola un ragazzo della “Morsillara”, parente di un collaboratore di giustizia. Il suo corpo fu poi trovato in un casolare abbandonato».

Pertanto, riconoscenti per i servigi prestati al padre, Domenico Bonavota, e in generale tutto il clan, si impegnò  a trovare la quadra affinché «Prostamo non venisse ucciso. Bonavota disse che non doveva essere assolutamente toccato altrimenti ci sarebbe rimasto male perché era legati a lui», facendo «chiaramente capire che ci sarebbe stata una reazione in caso di uccisione. Da quel momento in poi riprendemmo i contatti anche con i Pititto scambiandoci stabilmente informazioni e traffici di cocaina». Pittito che poi prese il dominio «anche su Mileto città anche perché, verso il 2007, per come ho appreso da Francesco Scrugli, si alleò con i figli di Giuseppe Mesiano». E se Pasquale Pititto «era un istintivo, un sanguinario, Giuseppe Mesiano era invece più riflessivo».

MAESTRALE, LE DINAMICHE NELLE ‘NDRINE DI MILETO: L’UCCISIONE DI MICHELE TAVELLA

E in uno di questi feedback il pentito ha ricordato la volontà espressa da «Pasquale Pititto a Scrugli di uccidere assolutamente Michele Tavella per vendicare un loro parente. Pensavo che fosse stato Scrugli a commettere l’omicidio anche perché ce l’aveva con lui in quanto aveva dato fastidio alla sua compagna dell’epoca. Sia Pititto che i Bonavota  si erano determinati ad eliminarlo» ma a procedere materialmente, secondo il collaboratore, fu «Fortunato Mesiano e questo lo appresi dopo il mio arresto nell’operazione “Asterix». 

I Tavella, con i quali Mantella ha sostenuto di non aver mai avuto approcci, sono ritenuti comunque «una famiglia di ’ndrangheta, dedita ai furti, anche di bestiame, rapinatori, spaccio di droga. Rispetto ai Pititto però erano una famiglia di serie B». Sono stati loro «ad aver innescato un conflitto con uno dei parenti di Pasquale Pititto che avevano ferito o ucciso e quest’ultimo aveva ritenuto responsabile proprio Michele Tavella insieme al fratello Fortunato detto “u zoppu”».

I GALATI

Di questa famiglia, Mantella si è soffermato su Salvatore Galati che «nutriva rancori verso Peppone Accorinti perché lo riteneva insieme a Raffaele Fiamingo responsabile dell’omicidio del fratello insieme al gruppo Iannello-Prostamo-Pititto»; mentre c’era un altro gruppo Galati, che «faceva capo a Carmine Galati e che trafficava droga e che era componente della “Caddara” insieme a Saverio Razionale, Peppone Accorinti, i Mancuso ed altri, ma al contrario di lui i fratelli Ottavio e Domenico si sono evoluti e rafforzati economicamente, così come Armando Galati».

E il vero regista di questo scontro tra i Galati da un lato e i Pititto-Prostamo-Iannello dall’altro, sarebbero stati a conoscenza di Mantella, Luigi e Giuseppe Mancuso «che erano soliti fare “tragedie», aizzando una volta i Galati e un’altra volta il gruppo rivale «che aveva finito per eliminare il fratello di Salvatore Galati. Lo stesso gruppo veniva poi mandato dai Mancuso a sparare dove occorreva come contro i Chindamo a Laureana di Borrello». Gli stessi componenti «commettevano anche rapine, addirittura si raccontava che Nazzareno Prostamo, alias “Buttafuoco”, abbia commesso, in sella ad un cavallo, addirittura una rapina sull’autostrada ai danni di un tir. Una scena fantozziana», ha commentato la circostanza senza però essere molto convinto della veridicità del racconto appreso. Amico dei Galati, poi, era «Rocco Cristello, broker della droga».

LE RAPINE

Altro punto toccato da Mantella sono le rapine dei soggetti coinvolti. Il primo è stato Michele Silvano Mazzeo: «Era un soggetto che trafficava anche droga ed era formalmente nel nostro gruppo nonostante la sua appartenenza a quello dei Galati di Comparni e a Rocco Cristello col quale era parente. Tra l’altro, voleva ammazzare Peppone Accorinti per l’uccisione del fratello, e so che ha commesso con Scrugli, Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e un’altra persona una rapina milionaria ad un portavalori. Un’altra fu commessa nella zona industriale di Vibo che fruttò circa 30mila euro in diamanti, bracciali, anelli e lingotti d’oro.
E so che furono loro perché mia sorella, quando mi venne a trovare nel carcere di Cagliari, guardando il suo collier mi disse che gliel’aveva comprato Scrugli» all’epoca fidanzato della ragazza. E una ulteriore conferma Mantella l’aveva avuta da un biglietto fattogli «recapitare in carcere da Domenico Bonavota». Poi, altre rapine ai commercianti all’ingrosso come «ad esempio un tale Mirabello».

CESARE PASQUA

Visionando un album fotografico sottoposto dal pm della Dda, Mantella si è soffermato sull’ex responsabile del dipartimento di prevenzione, confermando che era un dirigente dell’Asp e aggiungendo però che era anche «un colletto bianco intraneo alla cosca Mancuso la cui vicinanza, soprattutto a Luni “Vetrinetta”, Giovanni e Antonio, era storica. La sua aderenza occulta doveva rimanere tale e quindi la conoscevano pochissime persone. Io l’avevo appresa da Carmelo Lo Bianco.
Era anche proprietario di un paio di distributori di carburante. Nel 2009-2010 i Lo Bianco commisero una rapina a quello di Vibo, su viale Affaccio, e i Vetrinetta o Giovanni Mancuso, che si erano impegnati per restituirgli la somma, mandarono l’imbasciata a Carmelo Lo Bianco e questo perché era una figura funzionale alla loro cosca che drenava denaro per loro conto. Tra l’altro, i due Mancuso li vedevo spesso presso l’area di servizio ed erano loro a gestire la manovalanza».  Pasqua, inoltre, «apparteneva ad una loggia coperta per come mi riferì Salvatore Tulosai».

MAESTRALE, NON SOLO LE ‘NDRINE DI MILETO: SAN CALOGERO

Anche questa consorteria dipendeva «dai Mancuso di Limbadi. Prima era gestita da Pontoriero ma poi ha perso potere a vantaggio di Gennaro Vecchio, il quale si faceva forte dell’alleanza con Peppone Accorinti, Franco Ventrice e Nicola Preiti e tutti trafficavano droga».
L’esame di Mantella riprenderà nella giornata odierna. 

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