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La Cassazione dispone un nuovo processo per l’infermiere vibonese Antonio De Pace accusato di aver ucciso la fidanzata Lorena Quaranta ma solo per stabilire il riconoscimento o meno delle attenuanti generiche


VIBO VALENTIA – Si tornerà in Corte d’Assise d’appello, a Messina, ma solo per stabilire l’entità della pena da infliggere ad Antonio De Pace, presunto autore dell’uccisione della fidanzata Lorena Quaranta, la studentessa di Medicina, originaria dell’Agrigentino, avvenuta nel marzo 2020, in piena pandemia, nella loro abitazione di Furci Siculo (Me).

La suprema Corte di Cassazione ha infatti accolto la richiesta della difesa, nelle persone degli avvocati Bruno Ganino e Salvatore Staiano, in ordine alle attenuanti generiche disponendo, pertanto, un secondo processo, ad altra sezione della Corte su tale circostanza che quindi dovrà essere nuovamente valutata. Il che non è poco, visto che in caso di riconoscimento delle stesse si abbasserebbe l’entità della pena inflitta all’imputato di Dasà sia in primo che in secondo grado: carcere a vita. Gli “ermellini” hanno pertanto rigettato il ricorso della Procura generale che aveva chiesto la conferma del verdetto d’Appello ma anche quello della difesa relativamente al riconoscimento dell’infermità mentale per il proprio assistito.

UCCISE LA FIDANZATA, PER LA CASSAZIONE DISPONE UN NUOVO PROCESSO PER L’INFERMIERE VIBONESE

Nessun dubbio quindi sulla penale responsabilità dell’imputato condannato il 19 luglio 2023 dai giudici di secondo grado di Messina anche al risarcimento alle parti civili, in particolare i familiari della studentessa 27enne di Favara (Agrigento) difesi dall’avvocato Giuseppe Barba, il Cedav rappresentato dall’avvocata Maria Gianquinto e un’altra associazione antiviolenza “Una di Noi” rappresentata dall’avvocato Cettina Miasi.

De Pace, in primo grado, era stato dichiarato capace di intendere e di volere e quindi imputabile, al termine della perizia effettuata per conto della Procura messinese dal professore Stefano Ferracuti che aveva evidenziato l’assenza di “disturbi psichiatrici” nel ragazzo, all’epoca dei fatti vittima di una “importante condizione ansiosa”, quella che da giorni lo avrebbe tormentato, provocata dalla paura di essere stato contagiato dal coronavirus insieme alla stessa Lorena, circostanza poi esclusa dai temponi effettuati su entrambi dal personale sanitario.

FORSE L’ANSIA DA COVID HA CONTRIBUITO AL RAPTUS OMICIDA

L’infermiere dasaese era in servizio al Policlinico di Messina ed è qui che aveva conosciuto la giovane di Favara, impegnata nella specializzazione per la professione medica. Insieme, avevano scelto l’appartamento di Furci per cominciare la convivenza mentre lei continuava il suo percorso. Un inizio di vita insieme, spezzato da una notte di follia omicida. Siamo nel 2020, in tutto il mondo scoppia la pandemia da Covid-19. I morti si contano a centinaia di migliaia e la paura di contrarre la malattia è tanta.

Seppur mai completamente stabilito, sarebbe stata proprio l’ansia del Covid, secondo quanto ipotizzato, a scatenare il raptus di De Pace che avrebbe picchiato la ragazza con calci e pugni colpendola infine con una lampada da comodino e infine strangolandola. Tutto questo al termine di una lite cui fece seguito il tentativo di suicidio, o comunque di ferirsi, dell’imputato De Pace che si era procurato dei tagli prima di chiamare i carabinieri.
Una volta arrestato, il 31 enne si era trincerato nel silenzio dalla mattina del rinvenimento del corpo e lo stesso atteggiamento l’aveva mantenuto alle udienze e ai confronti coi magistrati e col suo stesso legale.

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