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L'avvocato penalista Giancarlo Pittella

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VIBO VALENTIA – È stata la figura del noto penalista Giancarlo Pittelli, condannato a 11 anni (la richiesta era stata di 17) per concorso esterno in associazione mafiosa, la figura più rilevante del processo di ‘ndrangheta Rinascita Scott una volta uscite quelle di Peppone Accorinti e soprattutto Luigi Mancuso. E di quest’ultimo, Giancarlo Pittelli è stato il legale di fiducia per decine di anni. Un rapporto duraturo che, secondo le motivazioni della sentenza, ha portato il penalista ad andare oltre il proprio mandato difensivo veicolando notizie, anche riservate alla cosca.

Il Tribunale, a sostegno di quanto ha ritenuto, evidenzia l’esistenza di “numerose vicende che dimostrano la stabile ed effettiva messa a disposizione dell’imputato nei confronti dell’associazione. Il rapporto tra Pittelli e il boss di ‘ndrangheta Mancuso, infatti, non si riduce ad una confidenzialità inusuale tra avvocato a capo-mafia, superando i limiti della mera contiguità compiacente, per risolversi nella ripetuta e concreta attivazione dell’imputato a beneficio della consorteria, alla quale fornisce, come si vedrà, uno specifico e consapevole contributo.
E non sarà solo Pittelli a strumentalizzare la fama criminale del Mancuso per incrementare il suo prestigio professionale e per facilitare alcune speculazioni edilizie, quanto anche il Mancuso, soprattutto nella fase ascendente della sua parabola, ad avvalersi della rete di relazioni messagli a disposizione dal Pittelli (ora nelle vesti di legale, ora in quelle di politico, ora di vero e proprio faccendiere) per scalare le vette del potere economico-malavitoso, calabrese e non solo”.

PITTELLI E LA ‘NDRANGHETA SECONDO LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA DI RINASCITA SCOTT

La vicinanza di Pittelli al boss di ‘ndrangheta di Limbadi è «ampiamente documentata attraverso numerosi incontri riservati con il capo mafia intercorsi tra il 26 giugno 2014 e il 12 agosto 2017, periodo in cui il boss era irreperibile per essersi sottratto agli obblighi derivanti dalla sorveglianza speciale». In particolare, le riunioni del 1° agosto 2017 e del 7 agosto 2017 erano state “organizzate in quanto Mancuso doveva interloquire con l’avvocato Pittelli su una questione che riguardava Rocco Delfino e Domenico Cangemi”. Ma in generale gli incontri “non erano finalizzati solo a trattare questioni inerenti all’espletamento di mandati difensivi; dai discorsi affrontati e dai commenti dei partecipanti si aveva modo di comprendere, infatti, come il Mancuso incontrasse Pittelli per richiedere al difensore interventi specifici nell’interesse della cosca, di suoi esponenti o di persone che comunque interessavano al capo”.

Insomma, per come tratteggia la figura del penalista, il Collegio ritiene Giancarlo Pittelli come figura che era un “valido punto di riferimento per l’associazione, ben oltre il ruolo istituzionale dì avvocato, piegando la nobile funzione e le prerogative ad essa riconnesse a fini del tutto eccentrici e illegali”. Al riguardo si fa anche menzione ad un pranzo nel corso del quale erano presenti, quali personalità di spicco, sia l’avvocato che Giuseppe Cosentino, defunto Presidente del Catanzaro Calcio, “che si recavano a Nicotera attuando una serie di manovre volte ad evitare i controlli delle forze dell’ordine, cautele che trovano unica spiegazione nella presenza in quell’occasione del capo mafia, in quel momento irreperibile”.

LE RICHIESTE DI MANCUSO

Incontro voluto dal capo mafia “per soddisfare una richiesta proveniente da Orazio De Stefano, esponente della nota famiglia di ’ndrangheta di Reggio Calabria, attraverso il suo referente Lorenzo Polimeno, al fine di individuare qualcuno che potesse favorire il trasferimento in Calabria di tale Francesco Cutrupi, direttore di Poste Italiane che in quel periodo lavorava a Roma”.

Mancuso avrebbe quindi chiesto a Pittelli “di mettere le sue conoscenze al servizio del clan di ‘ndrangheta, che in quel momento doveva mostrarsi collaborativa con una cosca alleata. E poco conta che dalle intercettazioni successive si evinca che il gruppo criminale poi si sarebbe attivato attraverso Giuseppe Antonio Tomeo per “avvicinare” un sindacalista di Poste Italiane”. Quindi, sempre a parere dei giudici, pare “evidente che anche tutta l’attività che ha preceduto fuoriesce dall’esigenza di garantire anche al ‘ricercato’ un’assistenza legale, per risolversi – nella condivisione delle medesime cautele adottate dai sodali – nella necessità di consentire al boss di far risaltare anche “da remoto” le sue capacità.

LA DICHIARAZIONI DI ANDREA MANTELLA

A maggio del 2016 Andrea Mantella inizia a collaborare e nella ’ndrangheta vibonese scoppia il panico e la necessità di sapere cosa stia raccontando alla Dda perché si era consapevoli che le sue propalazioni avrebbero aperto uno squarcio sull’associazione mafiosa della provincia e avrebbero segnato un prima e un dopo anche nelle indagini di mafia nel vibonese, investendo indistintamente tutte le cosche.
E anche – e soprattutto – il clan Mancuso si era attivato per avere quei verbali non ancora disvelati in una ricerca forsennata di notizie. Il tramite sarebbe, per il Tribunale, proprio l’avvocato Pittelli i cui incontri con Giovanni Giamborino erano monitorati. “Non avrebbe avuto alcun senso, altrimenti, attivare tutte le conoscenze dell’odierno imputato, anche nella Dia, per ottenere notizie già rese pubbliche nel corso del dibattimento del processo “Black Money”. Pittelli, infatti, “prometteva di attivare i suoi canali informativi per consentire agli organi dell’associazione di valutare con miglior cognizione di causa la situazione, onde trarne elementi di giudizio, ai fini delle conseguenti determinazioni”.

Anche in questo caso l’attività dell’avvocato “trascende il mandato difensivo in quanto, contattato e compulsato al fine di conoscere nella loro massima estensione le dichiarazioni del neo-collaboratore e adoperandosi per violare il segreto investigativo, stava fornendo uno specifico contributo extra ordinem, in una situazione di estrema fibrillazione della consorteria; ogni tipo di informazione aggiuntiva avrebbe avuto la capacità di attenuare quella criticità e, dunque, di incidere sull’operatività del sodalizio, in ogni caso rafforzato dal reperimento di informazioni, sia rassicuranti che compromettenti per gli associati”.

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Francesco Ridolfi

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