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L'avvocato Francesco Sabatino

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VIBO VALENTIA – Sono otto ma piene nei contenuti le pagine in cui la Cassazione spiega perché l’avvocato Francesco Sabatino, tra i principali imputati nel maxi procedimento penale “Maestrale”, deve sostenere un nuovo giudizio. Davanti al Riesame, infatti, si dovrà ridiscutere la misura cautelare degli arresti domiciliari a seguito dell’accoglimento del ricorso presentato agli avvocati Francesco Petrelli e Valerio Vianello Accorretti. Il noto penalista – che sta sostenendo il giudizio abbreviato – è accusato dalla Dda di Catanzaro di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto avrebbe offerto un contributo ai clan mafiosi del territorio (Mancuso di Limbadi in particolare e Accorinti di Zungri) finalizzato ad eludere le investigazioni, acquisire notizie riservate su indagini in corso e a garantire ai soggetti detenuti un canale di comunicazione con l’esterno.

IL CASO SABATINO E I PENTITI SECONDO LA CASSAZIONE

La Suprema corte, nel suo giudizio è tranciante sulla questione dell’attendibilità dei pentiti proprio a partire dalla stessa ordinanza dei tribunale del Riesame che ne aveva ridimensionato il valore: «L’ordinanza emessa dall’altra sezione del Tribunale del riesame si caratterizza per una considerevole rimodulazione della base indiziaria posta a fondamento della conferma della misura cautelare, rispetto a quanto ritenuto nell’ordinanza genetica» e specifica che in particolare, è stata esclusa l’attendibilità dei principali accusatori di Sabatino, individuabili nei collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Raffaele Moscato, i quali avevano descritto «condotte puntuali e specifiche (soprattutto Mantella) concernenti contributi fattuali in favore degli associati e del sodalizio in quanto tale, sicuramente esulanti dall’attività difensiva legittimamente svolta dall’imputato». Pertanto, a cascata, per effetto della valutazione di inattendibilità compiuta dal Tribunale, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, i magistrati del “Palazzaccio” ritengono che la base sulla quale operare il riscontro della gravità indiziaria «risulti ridimensionata rispetto al quadro valutato nell’ordinanza genetica, il che impone necessariamente una più attenta valutazione delle residue emergenze istruttorie».

LE CONVERSAZIONI INTERCETTATE

È l’utilizzabilità delle conversazioni intercettate la questione centrale sulla quale si incentrano i rilievi dei difensori. Dialoghi che, secondo l’impostazione recepita dal Tribunale del riesame, non potrebbero ritenersi afferenti allo svolgimento dell’attività professionale evidenziando che «plurime conversazioni sarebbero intercorse con soggetti rispetto ai quali non era stato formalizzato alcun mandato difensivo, ovvero in relazione ai fatti per i quali l’interlocutore di Sabatino non rivestiva la qualità di indagato». Ma per la Corte, tale ricostruzione non è condivisibile in quanto «il divieto di utilizzazione deve essere riconosciuto anche in relazione alle ipotesi in cui un mandato difensivo non è stato formalizzato».

Ma non è tutto. Per i magistrati infatti l’attività professionale deve ricomprendere necessariamente anche quella fase di consultazione pure nel momento in cui l’interessato apprende di essere coinvolto in una indagine; inoltre, nel caso in cui un soggetto risulta essere destinatario di una misura cautelare o soltanto indagato, l’avvocato può essere interpellato da persone fino a quel momento estranee alla specifica vicenda processuale e questo perché secondo i giudici romani «ciò non è un dato astrattamente incompatibile con lo svolgimento dell’attività professionale, in quanto si tratta di rapporti che fisiologicamente si collocano in quella fase di generica consulenza, ordinariamente svolta nell’ambito della professione forense». Andando ancor più nello specifico, la Cassazione ritiene «non rilevante che l’avvocato possa rivelare il contenuto di procedimenti, di cui è legittimamente a conoscenza, a soggetti formalmente estranei, sempre che tale condotta non sia strumentale rispetto al compimento di ulteriori e diverse attività delittuose».

LA CASSAZIONE E IL MANDATO PROFESSIONALE DI SABATINO

Dirimente diventa, quindi, il contenuto dei colloqui poiché si deve stabilire se questi vertono su aspetti, sia pur potenzialmente, aventi rilevanza per il coinvolgimento dell’interlocutore in un procedimento penale. Viceversa, ove l’interessamento in indagini penali, che non concernono direttamente l’interlocutore, è dettato da ragioni funzionali ad attività criminali diverse e rispetto alle quali non è individuabile un lecito apporto da parte del difensore, viene meno l’esigenza di tutelare il segreto della conversazione e il conseguente divieto di utilizzabilità. «In buona sostanza – evidenziano ancora gli “ermellini” – il tema dell’inutilizzabilità delle intercettazioni riguardanti chi esercita la professione forense non può essere risolto in linea generale, sulla base dell’esistenza o meno di un rapporto professionale, essendo richiesta una verifica in concreto del contenuto dell’interlocuzione che, per potersi ritenere pertinente all’attività difensiva, deve risultare funzionalmente connessa a quest’ultima e non già diretta ad acquisire informazioni per altri fini, potenzialmente concernenti attività illecite». E, tirando le somme su questo punto, la Cassazione spiega che nel caso dell’avvocato Sabatino tali principi «non risultano concretamente applicati nell’ordinanza cautelare, nella quale sono stati valorizzati, ai fini di sostenere l’utilizzabilità delle intercettazioni, parametri non conformi al disposto normativo così come interpretato dalla giurisprudenza».

La conseguenza è che, nel giudizio di rinvio, il Tribunale del Riesame «dovrà rivalutare le intercettazioni rilevanti ai fini della gravità indiziaria, stabilendone la pertinenzialità rispetto all’espletamento dell’attività difensiva, intesa non già nella più ristretta accezione dell’adempimento del mandato difensivo, bensì tenendo conto anche di un’attività di consulenza, eventualmente preventiva e svolta in assenza di mandato, che ugualmente rientra nell’esercizio della professione forense»; e a cascata ciò riguarda anche l’attività di informazione presso i primi congiunti di un indagato.

«RIVELAZIONI PENTITI DI SCARSA ENTITÀ»

L’accoglimento di tale profilo di censura assume «valenza assorbente, posto che – una volta escluse le dichiarazioni rese dai collaboranti Mantella e Moscato – la gravità indiziaria si fonda essenzialmente sulle intercettazioni acquisite», argomentano i giudici per i quali «colgono nel segno i rilievi difensivi in relazione alla scarsa significatività delle dichiarazioni rese dai collaboratori ritenuti attendibili – Arena e Mancuso – di per sé non autosufficienti, una volta esclusa la rilevanza di quanto riferito da Mantella e in assenza di un adeguato riscontro proveniente dalle intercettazioni».

E anche gli ulteriori elementi indiziari evidenziati nell’ordinanza – quali l’abituale frequentazione di Sabatino con alcuni degli associati e le sospette modalità di incontro – rappresentano dati che, per «poter condurre all’affermazione della gravità indiziaria in relazione al reato di concorso esterno, devono essere necessariamente inseriti in un contesto da cui emerga quale sia stato dell’apporto concreto fornito dal ricorrente (escluse le condotte riferite da Mantella), desumibile essenzialmente dai ritenuti apporti conoscitivi forniti dall’indagato agli appartenenti al sodalizio».

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