Il gruppo di avvocati attorno a Giancarlo Pittelli
12 minuti per la letturaDopo 4 anni di silenzio Giancarlo Pittelli, tra i principali imputati del processo Rinascita Scott, ha deciso di parlare con un lungo intervento durante l’ultima udienza
LAMEZIA TERME – “In questi 4 anni ho subito l’inenarrabile, danni che non potranno essere mai riparati da alcuno quanto alle mie condizioni di salute, alla mia stessa vita, e soprattutto a quella di mia moglie e della mia giovane figlia. Ho tentato con tutte le mie forze di trasformare dolore e la mortificazione in forza solo per la mia famiglia. Ho 70 anni, quindi non ho molto da aspettarmi dalla mia vita ma solo un giudizio scevro da pregiudizi che riesca a superare, e non è facile, il clamore mediatico generato attorno alla mia persona e mi auguro che diate ascolto solo alle vostre coscienze e al contenuto inequivoco degli atti processuali. Sono tra quelli che hanno sostenuto che il valore di un giudice si misura sempre dalla sua capacità di calarsi nelle ragioni dell’uomo prima di giudicare”.
È la conclusione dell’intervento di Giancarlo Pittelli al processo Rinascita-Scott del quale è tra i principali imputati. Interviene per la prima volta in aula e lo fa per 22 minuti nella fase finale del procedimento anticipando quello del suo legale, Giandomenico Caiazza.
Racconta di aver dovuto mettere insieme i cocci “di una vita disintegrata”, riferisce sulle annotazioni agli atti del processo fornendo la sua versione sui fatti: Mantella, Catanzaro Calcio, Delfino, Mancuso e così via, cercando di smontare il castello accusatorio messo in piedi dalla Dda di Catanzaro.
Rinascita Scott, Giancarlo Pittelli: “Vita disintegrata”
Esordendo in aula bunker, Pittelli ha precisato di non aver partecipato al dibattimento non per mancanza di fiducia nel Collegio ma perché ho cercato in questi anni di rimettere insieme i cocci di una vita disintegrata. Ho avvertito la mortificazione e dolore di dover partecipare ad un processo a mio carico”. E non si è sottoposto ad esame perché ha ritenuto “che l’istruttoria dibattimentale avesse definitivamente chiarito gli aspetti essenziali della mia posizione. Non ho inoltre reso interrogatorio di garanzia perché mi era impossibile leggere in una sola notte le 30mila pagine degli atti che mi accusavano. In sede di interrogatorio di conclusione indagini, infine, fu lo stesso pm delegato di Nuoro a riferirmi che non era in possesso di alcun documento e quindi convenimmo sull’inutilità di un interrogatorio a scatola chiusa”.
“Mai stato un mafioso”. Commenta come una “vicenda tristissima” quella in cui è coinvolto e nella quale ricorda di essere stato dipinto come “persona di collegamento tra la criminalità organizzata e il mondo degli affari e quello della massoneria” per poi ribadire con forza: “Non sono né sarò mai un mafioso. Penso sia l’accusa più terribile che possa essere lanciata nei confronti di un cittadino di questo Paese. Nella mia vita professionale, politica e umana non ho mai agito in violazione della legge”, ha aggiunto rilevando come “nel momento in cui gli incidenti cautelari smontavano partitamente le singole questioni, si è cercato di dipingermi come colui il quale aggiustava processi; io non so assolutamente nulla e quando si è riusciti ad individuare uno specifico processo si è scoperto che i magistrati che avrei corrotto sono quelli più corretti e integerrimi del Distretto”.
Petrini. Con riguardo all’accusa di corruzione del Giudice Petrini, Pittelli ha evidenziato che la sua posizione “è stata stralciata – ed è avviata verso l’archiviazione – dopo aver reso interrogatorio in cui ho dimostrato che era impossibile un incontro collusivo e corruttivo con lui”.
Massoneria. Argomento caldo anche questo della massoneria, entità alla quale il penalista afferma di essere “stato iscritto dal 1988 al 1993, poi non mi residuava del tempo per dedicarmi all’istituzione per cui decisi di smettere anche perché iniziavo a fare politica e quindi non mi sembrava opportuno. Solo nel 2017, a seguito di insistenze di professionisti, capì che un rientro nell’associazione avrebbe potuto crearmi dei rapporti diversi visti la cessazione dell’attività politica e un decremento importante degli affari del mio studio. Avevo deciso di trasferirmi a Roma e questo è documentato nelle intercettazioni”.
“Mai fatto parte di logge segrete o deviate”. Anche in questo caso il concetto è stato ribadito con forza in aula: “Non ho mai fatto parte di logge massoniche segrete, irregolari o occulte delle quali disconosco l’esistenza ma so da dove proviene questa fola (notizia falsa, ndr) sulla massoneria segreta o deviata perché è nata nel 2007 a seguito ad uno scontro avuto con un pm di Catanzaro (Luigi De Magistris, ndr) il quale inviò un avviso di garanzia al procuratore generale di Potenza accusandolo di corruzione e il prezzo della stessa era rappresentato da quattro bypass coronarici a seguito di infarto».
«Il mio atto di ribellione nei confronti di questo magistrato, con esposti al Csm, Procura generale, alla Cassazione, culminarono con l’invio di una informazione di garanzia nei miei confronti per appartenenza ad una loggia massonica segreta e al riciclaggio di un assegno a firma di mia madre. Indagine prontamente archiviata su richiesta dell’attuale procuratore di Salerno, Borrelli, e del procuratore di Lamezia, Curcio, per assenza di notizia di reato. Naturalmente quella informazione di garanzia fece il giro del mondo e per 20 anni mi sono portato appresso quella diceria. Io non ho mai avuto vantaggi né dalla massoneria né dalla politica – aggiunge l’avvocato – e i miei conti correnti sono sotto gli occhi di tutti”.
“Mai avuto notizie su indagini secretate”. Anche su questa circostanza Giancarlo Pittelli ha offerto la sua chiave di lettura esordendo col dire che “la notizia che ero indagine l’ho appresa a fine del 2018 da un mio amico giornalista del quale non ho mai saputo la fonte e né in quale circostanza ne fosse venuto a conoscenza. So solo che costui si dimostrava di saperne altre ancora segrete, come ad esempio l’iscrizione sul registro degli indagati dell’avvocato Staiano. Ed in ulteriori investigazioni attualmente è emerso il disvelamento da parte della stessa persona ad altri di notizie riservate”.
Gli appunti. Non sono appunti preparati in relazione a notizie da me apprese su specifici fatti, ma il sunto di idee e pensieri che di volta in volta a annotava, strappava e rimodulava e che ha consegnato spontaneamente alla Pg nell’ipotesi in cui fosse stato sottoposto ad un interrogatorio. È la motivazione addotta dal penalista sulle sue annotazioni finite agli atti del processo la cui “stragrande maggioranza non ha a che vedere con il processo Rinascita-Scott, troverete annotato termini quali Catanzaro Calcio, imprenditori, spese papà, e nomi quali Pecorella, Princi e Inzitari, De Magistris, lettere anonime e minacce; le altre annotazioni sono solo casualmente attinenti alle indagini e ad episodi spiacevoli della mia vita che io ritenevo legati a ciò che mi era stato riferito circa l’inchiesta a mio carico”.
De Magistris. Il nome dell’ex sindaco di Napoli, al tempo alla Procura di Catanzaro era stato annotato da Pittelli una volta “venuto a conoscenza che si indagava “sui miei rapporti massonici. Non avevo contezza dell’attività investigativa tant’è vero che quell’appunto l’ho strappato e messo a posto”.
“Non c’è il nome di Mantella”. L’avvocato rileva poi un dato rivolgendosi ai giudici del collegio: “Se leggete senza pregiudizio, noterete che l’annotazione più importante è quella che manca: manca cioè quella del nome di Andrea Mantella. Se avessi dovuto avere notizie, così come sostiene l’accusa, da parte di taluno relativamente alle indagini a mio carico, la prima cosa che avrei annotato sarebbe stato il suo nome, che è il principale mio accusatore. Mancano poi i nomi di Petrini e Delfino e ciò vuol dire che l’oggetto della indagine non era a mia conoscenza e che tutto quello che avevo scritto si riferiva ad episodi spiacevoli della mia esistenza”.
“Non è Marinaro”. Altro chiarimento riguarda l’annotazione che per la Dda è riferita al maresciallo Michele Marinaro: “Il maresciallo a cui faccio riferimento non è Marinaro ma Ercole D’Alessandro, allora in forza al Goi di Catanzaro, che io definisco in una intercettazione con l’avvocato Vincenzo Galeota, un vero delinquente perché si era presentato al mio studio con una scusa riferendomi alcune cose che mi porterò nella tomba ma che suscitarono la mia indignazione più profonda”; troverete poi lettere anonime, ne avevo ricevute negli anni ’80 e ’90 una infinità nelle quali addirittura mi si accusava di aver avuto relazioni omosessuali con un magistrato; per fortuna la storia ha dimostrato che tutto questo era frutto di falsità. A Marinaro, con cui avevo un rapporto di amicizia affettuosa soprattutto nel momento in cui le nostre madri stavano per morire, non ho mai chiesto nulla”.
Catanzaro Calcio. Per Pittelli quell’appunto “non ha attinenza con l’indagine in quanto faceva riferimento ad una serie di debiti che ero stato costretto ad assumermi”.
“Pecorella”. Quel nome ha “attinenza con il debito dell’ingegnere Basile” e al riguardo ecco la versione dell’imputato: «Con Pecorella e altri avvocati avevo creato uno studio a Roma del quale ero rimasto intestatario di tutte le utenze e del contratto di affitto e l’ingegnere Basile si era offerto di svolgere dei lavori di ripristino dell’immobile. Quando, nel 2007, mi arrivò l’informazione di garanzia del dott. De Magistris, scapparono tutti e restai con il cerino in mano».
«Nessuno pagò una lira e rimase tutto a mio carico. Basile, che mi era stato vicino in una campagna elettorale, si offrì di provvedere ad alcune opere e fino a febbraio del 2016 non seppi più nulla di lui. In quell’occasione arrivarono allo studio, previo appuntamento, a reclamare i soldi, Giamborino – che è dimostrato che non vedevo da più di 20 anni – e Gallone. Ovviamente quel fatto mi provocò agitazione, imbarazzo, non dico paura, ma certamente un timore serio”.
La fabbrica. Altro aspetto affrontato da Pittelli riguarda la fabbrica con la quale “non ho nulla a che vedere. Furono semplicemente degli amici di Chivasso che mi avevano proposto una dislocazione di una fabbrica, prevista in Piemonte, in Calabria con un decreto ministeriale per mezzo del quale erano stati erogati dei finanziamenti. Avevo affidato nel 2003 all’ingegnere Basile e ad un mio ex collaboratore parlamentare di occuparsene”, ha precisato aggiungendo di esservi stato al suo interno “solo una volta, in occasione della campagna elettorale del 2006 insieme all’allora ministro dell’innovazione Lucio Stanca. Non ho mai più saputo della fabbrica fino al 2016 quando il mio ex collaboratore parlamentare chiese a me e all’avvocato Rotundo di rilasciare una fidejussione per rilevare questa attività fallita nel frattempo. Il risultato è quello di aver ricevuto recentemente un decreto ingiuntivo per quella fidejussione”.
Nicola Femia. Agli atti anche un’annotazione che riguarda il pentito Nicola Femia e questo “perché l’avvocato Francesco Calabrese – spiega Pittelli – mi riferì che in una udienza a Bologna, Femia aveva parlato di me dicendomi che c’era un’indagine in corso a Catanzaro”.
Società Prelios. Sul punto l’avvocato ammette di aver chiesto al boss Luigi Mancuso, suo cliente, se ci fosse qualcuno interessato all’acquisto dell’immobile e “questo per evitare di intralciare taluno e per evitare di rischiare la mia incolumità personale mettendomi di traverso rispetto ad un affare in corso, per come emerge da una mia protesta verso Prelios che non mi aveva avvisato della trattativa in via di definizione.
I rapporti col boss di Limbadi. “In 40 anni che svolgo la mia professione, Mancuso nella sua vita non mi ha chiesto mai nulla di illecito, mai”, rileva Pittelli ricordando di aver incontrato il boss in occasione della sua irreperibilità per conoscerne le ragioni e precisando di non essere “mai andato alla ricerca di verbali secretati. Potevo avere tra le mani quelli in cui Mantella veniva sentito dalla Procura nei vari processi nei quali risultavo difensore, ma nulla più. L’ultima conversazione captata che ha ad oggetto le dichiarazioni di Mantella è del novembre del 2019. Dal 2016 al 2019 del pentito non si parlerà mai più, neppure nell’incontro casuale con Saverio Razionale (boss di San Gregorio, ndr) che non vedevo da 20 anni”.
Ma a dire del professionista a processo, la conversazione che prova l’inesistenza di una disvelazione di indagini “è contenuta nella captazione del 19 novembre 2016. Io – ricorda – sono stato monitorato per tre anni e in quella conversazione chiedo a Giamborino se Mancuso ha paura del pentito (Mantella) e si sia per questo reso irreperibile e lui rispose di no, al che replicai: e allora che si consegni perché io non posso dargli nulla perché non so cosa dirà il pentito. A Luigi Mancuso non ho mai chiesto nulla di illecito, né ho avuto mie richieste di condotte illecite in suo favore”.
“Mai chiesto voti ai clan”. Altro argomento trattato è quello del sostegno elettorale delle cosche: “Non ho mai chiesto voti ai miei clienti – ribadisce Pittelli – Sono stato candidato per la prima volta nel 2001 nel Basso Ionio Soveratese, quindi fuori dall’ambito vibonese; la seconda volta ero nel listino e non ho dovuto fare campagna elettorale tanto era blindata la mia posizione. Affermo questo per dire come la pretesa campagna elettorale di Mancuso in mio favore sia una invenzione farlocca del collaboratore di turno; non ho mai chiesto voti ai Mancuso né ad Isola Capo Rizzuto perché non sono mai stato candidato in quella zona”.
Delfino. Sulla figura dell’imprenditore Delfino, l’imputato ricorda che gli “fu inviato da Mancuso come cliente e presentato come figura che aveva in corso una procedura di riabilitazione; una sola volta Mancuso mi chiese in quali condizioni era la pratica che mi aveva segnalato e gli risposi che non c’era nulla da fare perché il prefetto di Teramo non era un cretino e perché risultava, per tabulas, un qualcosa di molto strano che impediva qualsiasi possibilità di successo della stessa. E questo a prescindere dall’ortodossia del mio intervento a favore di Delfino perché era inutile tanto da averlo riferito a Mancuso”.
Quindi le conclusioni di Pitelli che abbiamo riportato in apertura di articolo e dopo il capannello di colleghi avvocati attorno alla sua persona mentre uno dei suoi legali, Caiazza, ribadiva ulteriormente i concetti espressi dal proprio cliente.
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