Il Comune di Vibo Valentia
4 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Ce n’è voluto di tempo ma alla fine le sezioni riunite della Corte dei Conti hanno depositato nella giornata di ieri le motivazioni della sentenza che aveva ad oggetto la valutazione del Piano di riequilibrio finanziario (Prfp) del Comune di Vibo. All’udienza dell’1 marzo scorso, i giudici contabili avevano stabilito che tale piano non era valutabile in quanto assenti i presupposti per ricorrere alla procedura avviata dall’allora Commissario Straordinario alla guida di Palazzo Luigi Razza (2019).
Secondo la magistratura non si poteva ricorrere alla procedura di riequilibrio e dunque il Piano non poteva essere adottato e quindi valutato, così come non potevano essere adottate le istruttorie successive del Ministero dell’Interno e della sezione regionale Calabria della Corte dei Conti. Il caso di Vibo era quindi risultato essere un unicum in Italia: si trovava con una chiusura del precedente dissesto e non poteva dichiararne uno nuovo nonostante avesse 34 milioni di euro di debiti. Per capire meglio su quale assunto i giudici hanno basato la loro decisione si è quindi dovuto attendere quasi tre mesi e adesso è stato tutto messo nero su bianco in 40 pagine nelle quali – andando al nocciolo della questione – si evidenzia che il Piano adottato dal Comune di Vibo Valentia “non supera il preliminare test di legittimità teleologica, connaturato al giudizio di proporzionalità/congruità rimesso dalla legge a questo Giudice”.
In particolare, il mancato superamento del test evidenzia che il riscorso alla procedura è avvenuta in “carenza di potere, assoluto e concreto”. “Assoluto”, perché “in caso di dissesto, l’Ente che può autorizzare il Prfp è soltanto lo Stato, a mezzo del Ministro dell’interno”; “in concreto”, perché “assume ad obiettivo di ripiano uno squilibrio che non è coerente con lo specifico articolo del Tuel, alla luce del divieto di ricorrere a nuove procedure straordinarie nell’ambito di quelle già in corso. La decisione sull’adozione di tale misura straordinaria, infatti, è stata adottata mentre il Comune era in stato di dissesto; pertanto, essa doveva essere “preventivamente autorizzato dal Ministero dell’interno, su proposta della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali”.
Peraltro, sempre secondo i giudici contabili romani, il ricorso al Piano poteva essere autorizzato solo nel caso in cui “l’insufficienza della massa attiva, non diversamente rimediabile, è tale da compromettere il risanamento dell’ente, il Ministro dell’interno, su proposta della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti, comunque senza oneri a carico dello Stato. I giudici, sul punto, rilevano che il Piano contiene elementi di squilibrio che non sono ripianabili con la procedura apposita, che avrebbero dovuto essere fronteggiate “ab initio” con le procedure previste per legge, e successivamente con quelle di cui all’art. 268-bis, co. 1-bis Tuel.
Nel corso di un disseto, infatti, il Piano può essere adottato solo per implementare la massa attiva a disposizione dell’Osl, a supporto del ripiano dello squilibrio oggetto del dissesto. Esso, per contro, non può ripianare nuovi disavanzi del bilancio in bonis o surrogare la procedura di dissesto. Diversamente opinando, la procedura di riequilibrio pluriennale diventerebbe uno strumento per “revocare” quella di dissesto reinternalizzando nel bilancio in bonis uno squilibrio che si è già ritenuto in grado di pregiudicare la continuità nel ciclo finanziario”.
Andando quindi alle conclusioni, per le sezioni unite il ricorso al Piano di riequilibrio risulta “inammissibile in quanto esso ha aggirato i vincoli legali per la sua adozione, sia soggettivi (autorizzazione ministeriale) che oggettivi (possibilità di adottare il Prpf solo per il soccorso al bilancio dissestato e non per nuovo squilibrio del bilancio in bonis). Per l’effetto, il successivo Piano approvato risulta affetto da radicale nullità, poiché, come sopra chiarito, risulta adottato in carenza di potere, in astratto ed in concreto”. Di conseguenza, la domanda di omologazione è stata rigettata, senza però produrre il riavvio automatico del dissesto. Infatti, la riscontrata invalidità del Piano preclude gli effetti che la legge riconduce ordinariamente al giudizio di proporzionalità sul suo contenuto. Il verificarsi della fattispecie di cui all’art. 268 del Tuel, inoltre, obbliga l’autorità di controllo, a dare notizia di tale grave violazione di legge alle altre autorità giudiziarie competenti a colpire gli eventuali illeciti che tale condotta ha realizzato. Dopo l’abrogazione dei “Coreco”, infatti, questa competenza spetta soltanto alla Corte dei conti, quale organo dotato della giurisdizione di controllo, anche ai fini della violazione del divieto di ricorso all’indebitamento per spesa corrente.
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