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Il pm De Bernardo dà il via alla requisitoria

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LAMEZIA TERME (CZ) – Sono  le 13 e 17 quando il pm della Dda, Antonio De Bernardo, inizia quella che sarà una requisitoria che si è sviluppata per tutta la giornata e che, per almeno i prossimi 20 giorni, lo vedrà alternarsi ai colleghi Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso e al procuratore capo Nicola Gratteri il quale, ieri mattina, non è voluto mancare a questo primo importante appuntamento che ha aperto la fase della discussione dopo la chiusura dell’istruttoria dibattimentale.

Siamo dunque alle battute conclusive – che comunque si protrarranno fino a dopo l’estate – del maxiprocesso “Rinascita-Scott” (oltre 300 gli imputati) e nella sala riecheggiano, pronunciate dall’esponente della distrettuale antimafia di Catanzaro, le parole del giudice Giovanni Falcone: «Non si può parlare di mafia delle estorsioni come non si può parlare di mafia dei triplici appalti, della droga, degli omicidi e così via. Il fenomeno mafioso è lungo e unitario e solo in una visione complessiva, globale, unitaria si possono poi studiare e approfondire adeguatamente le singole strategie e le varie sfaccettature del fenomeno mafioso stesso».

È il tema, appunto, della ’ndrangheta unitaria quello sul quale De Bernardo punta in questa prima giornata toccando, nella seconda parte del suo intervento, l’aspetto legato alla massoneria.

Esordendo ha fatto riferimento a un dato importante che spesso è stato sollevato in questi tre anni di dibattimento, quello sui numeri del processo: «Si è parlato in tutto questo tempo di confronti in termini numerico con il maxiprocesso di Palermo ma i numeri non dicono niente di per sé ma rappresentano di fatto la conseguenza di un metodo di lavoro». E tornando a Falcone e anche a Paolo Borsellino, ritenuti inarrivabili, ha aggiunto che la Procura antimafia di Catanzaro vuole rivendicare con orgoglio un aspetto: «Noi quella lezione l’abbiamo imparata, ne abbiamo fatto tesoro. Giovanni Falcone ha inventato un metodo per affrontare il problema della criminalità organizzata».

Una criminalità organizzata, in particolare la ’ndrangheta che il magistrato ha definito «fenomeno predatorio che presuppone l’uso della violenza, ma non solo questo: è, infatti, un fenomeno che implica una logica transattiva, uno scambio, è una industria di  protezione e quindi non ci sono solo le vittime del rapporto predatorio ma anche gli utenti della ’ndrangheta che cercano la protezione, che sono di fatto consumatori di protezione.  Orbene, se non si coglie questo passaggio non si può capire bene perché, in alcuni casi, perseguendo questa logica, taluni soggetti a cui contestiamo il 416 bis sono vittime di estorsione».

Il pm ha iniziato poi col menzionare la storia del Crimine di Polsi, la nascita di quello di Cutro e poi di Cirò e l’esistenza di un «crimine territoriale nel Vibonese, riconosciuto da Polsi e identificato nella famiglia Mancuso, ma con livelli di autonomia anche maggiori, e ciò va visto legato al momento storico e alle contingenze. Quello che conta – ha affermato ancora – è che nel Vibonese ci sono sempre stati dei soggetti che hanno svolto funzioni di crimine che rendevano conto a Polsi. Questi soggetti potevano non solo controllare il territorio ma far nascere altre Locali, in pratica una Camera di controllo come quelle disposte da Polsi sui territori, come avvenuto in Lombardia, Liguria e Piemonte».

Sui collaboratori, ha riferito che quelli «sui quali avevamo dubbi li abbiamo sondati, altri invece non li abbiamo più sentiti. Tutti quelli escussi in dibattimento hanno un percorso sondabile e non mi sembra che vi siano problemi di attendibilità intrinseca; inoltre a distanza di tempo fonti differenti dicono le stesse cose su massoneria e sul ruolo di soggetti cerniera come ad esempio Giancarlo Pittelli».

Se la ’ndrangheta «fosse solo un fenomeno criminoso sarebbe già stata sconfitta – ha aggiunto De Bernardo – ma è anche un fenomeno sociale nei cui confronti il colpo mortale non è stato ancora inferto. Noi quel colpo lo vogliamo dare. Un fenomeno per il quale l’equazione “Protezione uguale consenso” rappresenta il rapporto su cui  gioca la ’ndrangheta che attraverso contatti massonici diventa essa stessa classe dirigente».

La Dda, è la prosecuzione dell’intervento, ha messo sul tavolo «non un teorema ma solo fatti, ricostruendo la logica dei rapporti tra ndrangheta e massoneria in cui  tratto distintivo è la trasversalità. Sono stati ascoltati vari collaboratori sul punto, in primis Cosimo Virgiglio che ha offerto dall’interno il quadro della situazione raccontando la propria esperienza personale che l’ha portato a conoscere i vertici dei clan della provincia reggina».

Pertanto, per il pm della Dda, che siano esistite logge coperte formate da ’ndranghetisti e professionisti che alimentavano processi decisionali allo scopo di intervenire su alcuni procedimenti penali «è un dato che possiamo ritenere provato in Rinascita-Scott».

Inevitabilmente l’attenzione di De Bernardo si è focalizzata sulla figura dell’avvocato Giancarlo Pittelli la cui condotta «travalica il normale rapporto professionale; quando bisognava mettere a posto qualcosa si chiamava Pittelli» ha aggiunto, ricordando che Luigi  Mancuso, che «aveva una amicizia fraterna con Pittelli, faceva parte di queste logge coperte. Non possiamo uscire da questo processo senza dire questo».

E se «non comprendiamo la funzione di Luigi Mancuso non possiamo comprendere tutto il resto e il ruolo di alcuni personaggi a lui legati». Per il magistrato il «momento più triste del processo, che poteva fare un po’ di luce su questo sistema tra ’ndrangheta e massoneria, anche se alla fine ci siamo riusciti lo stesso, è stato l’escussione del giudice Petrini. Quel giorno si è seduto qui e quando gli abbiamo chiesto se aveva fatto parte di una loggia massonica coperta ha risposto di no, evidenziando le sue condizioni psicologiche sorte in conseguenza dell’arresto nell’operazione “Genesi”. Lo stesso ha aggiunto di non ricordare di aver reso quelle dichiarazioni alla Dda riportate nel verbale» e nonostante la marea di contestazioni mosse dallo stesso De Bernardo in quell’udienza,  «non ha detto mai però di essersi inventato tutto, ma solo che non ricordava. Insomma, la scelta di Petrini di fare retromarcia non è stata libera e queste sue non risposte sono inaccettabili».

Si tornerà in aula oggi per la seconda udienza della requisitoria, questa volta a cura del pm Annamaria Frustaci.

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