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Il procuratore generale di Catanzaro, Nicola Gratteri

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VIBO VALENTIA – “Se vuoi stare in pace con la tua famiglia devi pagare 10.000 euro altrimenti salterai in aria insieme ad essa; pensa ai tuoi figli non fargli vivere di paura; pensa a farli sorridere, guarda il loro futuro. Ora hai 10 giorni per pagare”. Una lettera dal contenuto inequivoco quella ricevuta dal proprietario terriero di Mileto a versare a Fortunato e Pasquale Mesiano una somma di 10mila euro per “mettersi a posto”.

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I due, ritenuti appartenenti alle articolazioni ’ndranghetistiche di Mileto e Zungri, sono accusati di estorsione aggravata dalle modalità mafiose che sarebbe stata messa in atto in concorso con altri soggetti in via di identificazione. Destinatario di tali condotte, messe in atto nel 2014, il proprietario terriero Nicola Tulino nei cui confronti gli indagati, secondo quanto emerge dall’inchiesta Maestrale-Carthago condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro – avrebbero compiuto “atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la parte offesa, acquirente di taluni appezzamenti terrieri da destinare alla coltivazione di ulivi, a versare loro (in modo tale da “mettersi a posto” con la ‘ndrangheta del Vibonese) una somma di denaro pari ad euro 10.000, quale quota parte del valore dei terreni acquistati spettante ai referenti della criminalità organizzata egemone su quel territorio, così procurandosi un ingiusto profitto con altrui corrispondente danno, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà, nella specie per la vicinanza dell’imprenditore ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata”.

Il sodalizio a cui apparterrebbero i due indagati avrebbe quindi esercitato un controllo assoluto, tra le altre cose, su ciascun bene mobile e/o immobile ricadente nel proprio territorio di influenza, e dunque le compravendite relative a quest’ultimi necessitassero del previo benestare da parte della criminalità organizzata e della corresponsione, una volta autorizzate, di una “mazzetta” in favore dei vertici delle cosche territorialmente competenti. E per convincere ulteriormente la vittima a pagare l’invio di una lettera minatoria con quel messaggio di morte.

“Ti sciolgo nell’acido”

Ma Tulino non è stata l’unica persona destinataria di messaggi minatori. Un altro imprenditore, Nazzareno Cichello che sarebbe stato costretto a pagare 17mila euro al clan di Zungri dopo l’intervento del boss di Limbadi Luigi Mancuso al quale si sarebbe rivolto la vittima per cercare di uscire da quella situazione ma senza risultato. La vicenda si sarebbe verificata nell’ottobre del 2019 e il motivo del contendere ruoterebbe attorno ad una richiesta di denaro avanzata da Maria Rosa Pesce in relazione ad un contratto di affitto relativo ad un affittacamere denominato “Residenza Donna Peppina” sito nel pieno centro storico di Tropea.

In buona sostanza, secondo la prospettazione accusatoria, l’indagata, facendo ricorso alla minaccia avvalendosi “della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare alla cosca Pesce di Rosarno, rivolgendo alla persona offesa frasi dal tenore evidentemente minaccioso come: “ti sciolgo nell’acido” allo scopo di ottenere coattivamente l’intero adempimento (consistente nel pagamento della complessiva somma di 23mila euro, di cui la parte offesa ne aveva, al momento del fatto versati 10.000) del contratto di affitto relativo all’ immobile destinato ad uso affittacamere denominato “Residenza Donna Peppina”.

La donna – pur non essendo di fatto proprietaria di tutte le 5 camere di cui l’immobile era composto, ma solo da due di esse – si sarebbe quindi procurata un ingiusto profitto con corrispondente danno per la vittima” ma non sarebbe riuscita nell’intento perché quest’ultima avrebbe cercato di risolvere la questione “chiedendo protezione e rivolgendosi prima ad Angelo e Pietro Accorinti e, dopo che questi avevano sollevato la questione dinnanzi ai Pesce, evocando la competenza della propria articolazione territoriale”, avrebbe fatto ingresso nella vicenda Luigi Mancuso che regolava la controversia. In che modo? Nel capo di incolpazione successivo – che vede accusati oltre al boss di Limbadi, Domenico Cichello, Francesco Barbieri cl.’65, Giuseppe Pugliese alias “Professore”, Salvatore Policaro e Vincenzo Crudo – viene spiegato come. In pratica, gli indagati in concorso tra loro avrebbero costretto Nazzareno Cichello, “coartandone del tutto la sua volontà”, a versare in loro favore la “somma di 17.000 euro, divisi in due tranches da 8.500 euro: la prima suddivisa in 5.000 euro destinati a Domenico Cichello (per conto del boss Giuseppe Antonio Accorinti in quel momento in carcere) e 3.500 euro a Francesco Barbieri – per saldare altri asseriti crediti da loro maturati con i Pesce – mentre la seconda, interamente devoluta agli esponenti della Locale di Zungri, competente per territorio, nelle mani del solo Barbieri – ritenuto esponente di vertice del sodalizio -, il tutto con il pretesto della compensazione del debito maturato dalla vittima nei confronti della Pesce”.

“Devi accettare le conseguenze”

Ma anche la produzione della cipolla Igp sarebbe finita nei radar della ’ndrina di Briatico subordinata alla Locale di Zungri, come nella vicenda che vede indagato Filippo Niglia, ritenuto organico al sodalizio, e parte offesa l’imprenditore agricolo Gregorio Mantegna, responsabile legale della Cooperativa sociale Briatico Welfare per la produzione della cipolla rissa di Tropea biologica, consorziata Goel. Ma questa volta la parte offesa si è opposta alle presunte richieste tant’è che a Niglia viene contestato il solo tentativo estorsivo. Secondo carabinieri e Dda, in buona sostanza all’imprenditore sarebbe stato imposto un acquirente presso il quale vendere il proprio prodotto e di fronte al suo diniego Niglia avrebbe pronunciato le seguenti frasi: “Se tu fai queste scelte (riferendosi, appunto, alla decisione di Mantegna di vendere la cipolla a tale Artesi e non, secondo i desiderata del Niglia, a tale Pontoriero) devi accettare anche le conseguenze” alludendo “esplicitamente alla possibilità di ritorsioni conseguenti il mancato allineamento alle proprie volontà”. Frase accompagnata, prima e dopo questo episodio, da una serie di atti illeciti ai danni dell’imprenditore come ad esempio il furto di circa 50/60 quintali di cipolla rossa di Tropea Igp per un valore di circa 8.000 euro avvenuto l’1 luglio del 2016 e la contaminazione delle serre della Cooperativa con prodotti chimici e diserbanti non consentiti commesso nel 2018.

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