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Giuseppe Muzzupappa

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VIBO VALENTIA – In un precedente verbale, Pasquale Megna, aveva riferito che era stato costretto a sparare, anche se non lo voleva contro Muzzupappa, e in questo successivo racconta cosa ha portato a sparargli. 

L’omicidio di Muzzupappa

Il pentito parla di una situazione ormai insostenibile con la persona che uccise quella sera di autunno dello scorso anno. Un delitto che, spiega, non voleva commettere ma che la paura di far restare senza padre i propri figli ne armò la sua mano: “Con Muzzupappa  si trattava solo di una questione di tempo e qualcuno sarebbe morto, o io o lui – fa mettere a verbale – Come vi dicevo nel verbale di spontanee dichiarazioni, ormai giravo annata da tempo, così come pure mio fratello Giuseppe, arrestato per detenzione di anni in un paio di occasioni, proprio a causa di questa situazione·: si doveva girare armati per evitare di essere assassinati. Ho più volte mandato ‘imbasciate per dire che potevamo stringerci la mano, o anche rimanere nemici e non parlarci e non salutarci, ma che non era il caso di andare avanti così. Come risposta avevo ricevuto da Muzzupappa la seguente espressione: “Digli che come li vedo li sparo, a lui, al fratello ed al padre””. 

Andando alle fasi del delitto, il collaboratore racconta che quel giorno in cui entrò nel locale a Nicotera “non avevo intenzione di uccidere Muzzupappa e che, come ha ben riferito Congiusti, io sono sbiancato nel vederlo arrivare. Avevo però la pistola con me, perché ormai mi dovevo “guardare”, ma sapevo bene che i miei figli avrebbero in ogni caso perso un padre: lo avrebbero perso perché rischiavo ogni giorno di essere ucciso da loro, oppure perché uccidendo io qualcuno di loro, sarei finito in carcere. Posso dire che solo quando uscivo con mia moglie ed i miei figli ero “immune”, perché non sarebbero arrivati al punto di fare qualcosa alla presenza di una donna e dei bambini. Si tratta di una storia che va avanti da almeno 11 anni, ma anche da prima della morte di Mimmo Campisi, padre di Totò”.

Il duplice tentato omicidio

Ad ascoltarlo vi sono il pm della Dda, Annamaria Frustaci e gli operatori di Polizia giudiziaria a cui Megna inizia col riferire di un tentato omicidio quello di Antonio Campisi, figlio del broker della droga, Mimmo, ucciso nel 2011 a Preitoni, e di Alfonso Cuturello, figlio di Roberto, indicando in Antonio Piccolo il presunto responsabile: “Li ha feriti a colpi di pistola alle gambe”. Una vicenda che il collaboratore riferisce di aver appreso da quest’ultimo: “Mi è stata raccontata da Piccolo in persona, il quale mi aveva anche riferito che lo picchiavano quasi tutti i giorni e lo accusavano di un furto alle giostre, ma non so dire se fosse un furto di gasolio o di qualche altra cosa. Posso anche aggiungere che Piccolo mi raccontò che Campisi e Cuturello dicevano in giro che la sparatoria era avvenuta in c.da Gagliardi, mentre in realtà il fatto era avvenuto nel capannone di proprietà di Giovanni Rizzo, forse per evitare che si risalisse al luogo esatto”. E l’agguato in realtà sarebbero stati due e sarebbero scaturiti da un semplice furto, forse di gasolio. Il primo “era avvenuto nel capannone di Giovanni Rizzo, detto Mezzodente, che si trova  in parte nel  territorio di Limbadi”, la seconda sparatoria invece a Nicotera Marina, davanti alla pizzeria “Il Capitano”.

Un episodio che mosse in prima persona i vertici del clan Mancuso che volevano vederci chiaro. Megna racconta di aver ricostruito la vicenda, dopo averla esposta a Pantaleone Mancuso alias “L’ingegnere”, circa l’avvistamento dell’uomo con il cappellino ed i guanti, che era entrato, in un giorno particolarmente caldo, nel bar di Congiusti e sull’avvistamento della panda con targa bulgara con a bordo tre uomini, tra cui lo stesso soggetto con il cappello ed i guanti, che aveva affiancato la macchina con a bordo Salvatore Cuturello. E Mancuso si sarebbe recato personalmente al bar  “chiedendo chi fosse presente al momento dell’ingresso dell’uomo” mentre poi “ho saputo anche che il barista gli aveva riferito della mia presenza all’interno e del fatto che pochi minuti prima fosse uscito dal locale Antonio Piccolo. Questa circostanza, unita al mio racconto sull’affiancamento della panda con il veicolo guidato da Cuturello, aveva fatto sì che Mancuso ricollegasse i due avvenimenti”. Megna aggiunge di aver appreso del coinvolgimento, nella seconda sparatoria, di soggetti di Laureana di Borrello che “erano stati assoldati da Totò Campisi e tra cui vi era un ragazzo che in quella occasione perse una gamba riuscendo a salvarsi perché scavalcò il muretto”.

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