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L’ex consigliere regionale Pietro Giamborino

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L’ex consigliere regionale Pietro Giamborino si difende dalle accuse ricevute durante il processo Rinascita Scott

LAMEZIA TERME (CATANZARO) – “Sono Pietro Giamborino, sono nato il 4 febbraio 1957 e vivo a Vibo Valentia”. Esordisce così l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino sottoponendosi durante il processo Rinascita Scott all’esame del pm Antonio De Bernardo e poi dai propri legali, Enzo Belvedere e Domenico Anania. Di estrazione democristiana, ha aderito alla Margherita e infine al Partito democratico. Ha espresso la volontà di “difendermi nel processo non dal processo” dopo che la sua “vita è stata vilipesa”.

Rapporti con Salvatore Giuseppe Galati

Sul punto l’imputato ha evidenziato che questi, soprannominato “Il ragioniere”, è figlio di Maria Giamborino, sorella di Antonino, suo padre. “Ho quasi 10 anni più, non ci siamo cresciuti e poi il destino, la diversità delle scelte di vita, porta ciascuno a differenziare il proprio stato sociale”. Ricordando nello specifico di aver studiato filosofia a Messina e di aver “avuto una carriera politica trentennale” nonché di sentirsi “uomo delle istituzioni”.

Tornando a Galati, ha raccontato che intorno al 2000 questi “si era trasferito a Latina e fino a quel momento non avevo rapporti, avevo iniziato da sei anni la mia attività politica”. Poi “ha avuto una condanna per associazione mafiosa, un reato odioso. Da quando è uscito dal carcere tutti ne hanno preso atto e la comunità lo aveva accolto perché era un profilo mite. Quindi perché dovevo prenderne distanza? Non ci vado a mangiare né a bere. Conoscevo, ma solo per averne letto sui giornali, una persona che era accusata insieme a lui dei reati, Michele Fiorillo. Ma non eravamo né amici né parenti”.

Rinascita Scott, Giamborino ripercorre la sua attività politica

Nel 1994, quando già ricopriva la carica di segretario Dc del paese, si candidò per la prima volta a consigliere comunale. “Già gestivo l’oratorio e il banco alimentare – ha raccontato -. In quella occasione si candidò a sindaco Mario Giancotti e questa cosa mi entusiasmò, pertanto fui indicato come unico candidato della frazione per il consiglio. Purtroppo perdemmo le elezioni ma risultai consigliere comunale di minoranza con poco meno di 300 voti, diventando capogruppo. Erano i tempi in cui era sindaco Pino Iannello. L’anno dopo mi fu chiesto di candidarmi al primo consiglio provinciale di Vibo e raccolsi 1.003 preferenze. Entrai come ultimo nell’assemblea”.

Successivamente ha ricordato di essersi ricandidato, “nel 1998 (in realtà l’elezione è di due anni dopo, ndr), sempre alla carica di consigliere comunale nella coalizione contro quella che sosteneva Elio Costa. Nonostante la sconfitta dello schieramento io riuscì a tornare nell’assemblea con poco meno di 400 preferenze”.

CAPOLISTA PER LA MARGHERITA ALLE REGIONALI DEL 2015

Nel 2005 il suo partito, la Margherita, lo “scelse come capolista tra tre candidati alle elezioni regionali ma tutti sapevano che i voti erano convogliati su di me. In concomitanza si votava al Comune di Vibo e in quella occasione il partito, che al tempo era in grande spolvero, candidò 40 professionisti che raccolsero 4.500 preferenze circa (circa 8.000 in tutta la provincia) e quella affermazione si riflesse su di me, consentendomi di raggiungere un successo in città e frazioni mai eguagliato: 2700. A Piscopio la Margherita ne prese 900 su 1.600 aventi diritto. Avrei potuto ottenerli io ma temendo che si sbagliasse a scrivere il mio nome sulla lista dissi di votare il partito che tra l’altro diventò il primo nel Vibonese, superando i Ds”.

Quindi, per Giamborino, nessun’altra candidatura fino al 2010 quando gli fu offerta la possibilità “unanime da parte della coalizione di correre al Consiglio regionale, ma persi la partita perché il presidente Bruni non mi sostenne. Senza l’aiuto del partito presi comunque 3.500 voti”; ma non bastarono salvo poi tornare nell’assemblea “con le mie sole forze perché un anno e mezzo dopo subentrai come primo dei non eletti”.

Le primarie del Pd

Una carriera politica, quella di Giamborino – già capogruppo regionale della Margherita – che lo stesso dice “bloccata dall’avvento del Pd”. Ad ogni modo, finita quell’esperienza, l’imputato non si candidò più fino a quando “il Pd non decise di fare le primarie a Sindaco di Vibo. Chiesi di potervi partecipare, le persi ma con un risultato clamoroso: 2.200 voti; vinse il notaio Lo Schiavo per qualche centinaio di preferenze”.

In quell’occasione ha ricordato di aver “denunciato un contesto di promiscuità, utilizzando il termine “Gomorra”, denunciando la presenza di forze che si erano schierate contro di me. Dopo la mia sconfitta chiamai il notaio Lo Schiavo facendogli le congratulazioni. Dopo quelle affermazioni venni però convocato in Prefettura dove mi si pose una serie di domande. In primis se fossi a conoscenza che erano stati sparati i fuochi artificiali per la mia sconfitta, io risposi che mi era stato riferito ma di non saperne l’autore”.

L’altra domanda era se fosse presente quando l’avvocato Pitaro disse “nci tagghiammu a testa” alla quale replicai che non ero lì ma che comunque c’erano centinaia di persone che lo potevano confermare. La presi come una frase volgare ma nulla più”, ha asserito, specificando che “la criminalità organizzata non mi ha mai votato e in quella occasione si schierò apertamente contro di me”.

NEL 2014 LA FINE DELL’IMPEGNO IN CARICHE ELETTIVE

Dal 2014, Giamborino non ha avuto più alcun ruolo elettivo, pur rimanendo un dirigente politico e frequentando il Partito democratico europeo il cui riferimento in Italia era Francesco Rutelli. Domanda del Pm De Bernardo: Lei ha mai chiesto appoggio elettorale alla sua famiglia? Risposta: “Sì, ma non a Galati perché non mi ricordo fosse in giro quando c’erano quelle tornate elettorali, forse neanche votava secondo me. Tuttavia, non l’ho mai ritenuto un soggetto che poteva tornarmi utile a livello elettorale”.

Un eloquio, il suo, nel corso del quale ha ricordato un altro suo cugino: “l’indimenticato magistrato Pietro D’Amico. Se i miei cinque figli sono stati spinti tutti alla maturità classica, e quasi tutti a fare giurisprudenza, lo devo a lui”. Allo stesso tempo ha ricordato che quando fu inaugurato lo “Scrigno di vetro”, sulla legalità” l’allora “sindaco Costa disse che si doveva tutto questo al senatore Luigi De Sena e all’onorevole Giamborino”.

Rinascita Scott, Giamborino e i collaboratori di giustizia

Giamborino li definisce “i prezzolati dello Stato”: Raffaele Moscato, Andrea Mantella e Bartolomeo Arena che lo hanno chiamato in causa nel processo Rinascita Scott. L’imputato afferma di non averli mai conosciuti spiegando perché, a suo giudizio, hanno fatto il suo nome. Nello specifico su Moscato ha riferito: “mai visto in vita mia, non può dire di avermi dato la mano, né di avermi incontrato al ristorante o al bar; non so se conosceva mio cugino (Galati, ndr). Le uniche notizie su di lui le ho lette sulla stampa. Lui afferma che mi sono adoperato per trovare un posto di lavoro a tre persone; ebbene ho aiutato tanti giovani ma non questi”.

Su Arena ha affermato: “Non ho procurato alcun posto a un suo parente. Lui nel 2014, in occasione delle primarie, scrisse sul suo profilo “Mai votare uno di Piscopio”, ed era chiaro che l’avesse con me. Ha affermato poi che suo nonno mi avrebbe agevolato per non fare il militare; ebbene io il servizio di leva invece l’ho fatto a Roma, 12 mesi e 10 giorni”.

In buona sostanza, secondo Giamborino, Arena ce l’ha con lui “per via del il mio impegno in politica, per il fatto che non mi sono voluto fare avvicinare e questo per lui era insopportabile”. Infine, su Mantella: “Mi accusa solo perché vuole menzionare un politico nei suoi racconti, d’altronde, ne ha menzionati tanti. Essendo io molto popolare e credo che la mia attività politica lo abbia dimostrato, ha detto quattro cosette; io – ha ribadito – sono un uomo d’onore, ma lo sono per altri motivi e lo dirà il processo se ho piegato le istituzioni ai miei interessi o di altri”.

RINASCITA SCOTT, GIAMBORINO E IL RAPPORTO CON BRANCATI

“Conoscevo Giacomino Brancati, a suo tempo commissario dell’Asp di Reggio – racconta – a cui mi sono rivolto per un ricorso in autotutela per una dottoressa che riteneva e io pure di aver prodotto domanda per aumento del monte ore sia all’Asp di Crotone che di Reggio, dove qui Brancati aveva responsabilità primarie. Gli incontri vertevano tutte in questa direzione, cioè su come si potesse procedere. Lui ci disse di fare ricorso in autotutela, la dottoressa lo fece e le furono assegnate le ore richieste. Era la moglie del presidente della Provincia, Francesco De Nisi e questi mi chiese consiglio su come fare”.

Andando verso la fine della sua escussione, l’imputato ha asserito di “conoscere, come tutto il paese del resto, Francesco D’Angelo (alias Ciccio Ammaculata, ritenuto elemento di spicco della ’ndrina di Piscopio, ndr), perché aveva avuto dei problemi con la giustizia oltre 40 anni fa; ha due ragazzi che lavorano. Era ben inserito nella comunità, non creava allarme sociale. Conosco anche il genero Giuseppe D’Amico, lavorava insieme al fratello e non destava alcuna preoccupazione. Non lo frequentavo, anche per via della differenza di età. Sono amico del padre perché era uno degli animatori della comunità, organizzava tantissime cose con la chiesa”.

“Innamorato della magistratura nonostante tutto”

Nelle battute conclusive ha ricordato il padre morto da giovane vittima sul lavoro e non ha trattenuto l’emozione. Quindi la precisazione di non essersi “mai interessato di lavori su Piscopio” e la chiosa: “Nonostante quanto subito, rimango innamorato della magistratura alla quale mi affido”.

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