Un elicottero della polizia impiegato durante l'operazione di questa mattina
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VIBO VALENTIA – Negli atti dell’inchiesta Olimpo sono analizzate le posizioni degli indagati. Vediamo quelle principali relativamente alla contestazione di associazione mafiosa e di concorso esterno nella stessa.
Diego Mancuso
Per l’indagato, ritenuto uno dei personaggi di vertice dell’omonimo casato mafioso di Limbadi, la sua appartenenza al clan “è testimoniata sin dagli anni ’80 e perdura fino all’attualità, non avendo i collaboratori, i quali hanno reso dichiarazioni nel 2019 e nel 2021, riferito circa una rescissione dei legami con il contesto criminale di riferimento.
Tali dichiarazioni, d’altra parte, sono state riscontrate dalle dinamiche estorsive a cui Mancuso ha preso parte”. Ulteriori riscontri sono stati forniti poi dalle immagini cristallizzate dal sistema di videosorveglianza installato presso il villaggio “Heaven”, sito a Santa Maria Ricadi, dalle emergenze investigative confluite nell’inchiesta “Imponimento” e dalla dinamica che ha visto Mancuso visto “coinvolto con l’imprenditore Vincenzo Calfati il quale si è rivolto al Mancuso per accreditare gli investimenti in Calabria dell’operatore turistico tedesco “Tui”.
L’attività di videosorveglianza, infine, ha confermato anche la natura strategica del villaggio turistico Heaven, sito all’interno del quale avvenivano una serie di incontri tra il Mancuso e gli altri sodali”.
Famiglia La Rosa
Per quanto concerne la famiglia La Rosa, Francesco detto “Il Bimbo”, fratello di Tonino, opera in qualità di “vertice e capo della consorteria e contribuisce ad individuare i soggetti da sottoporre ad estorsione, impartendo direttive e curando direttamente le condotte delittuose da porre in essere”; Domenico, padre di Antonio e Francesco, costituisce “punto di riferimento della famiglia, dinanzi al quale vengono svolte riunioni ed affrontate le questioni di maggior rilievo, relativamente non solo alla pianificazione delle estorsioni, ma anche riguardo alla definizione delle criticità ritenute strategicamente di rilievo per l’organizzazione interna della famiglia”; Alessandro La Rosa, figlio di Francesco, fungerebbe infine da “braccio operativo del sodalizio, ponendo in essere condotte estorsive su mandato dei maggiorenti e detenendo armi nell’interesse del sodalizio”.
Gaetano Muscia
L’indagine cristallizza il reato di tentata estorsione pluriaggravata in capo all’indagato, nella qualità di “intermediario ed esecutore della condotta delittuosa per conto dei Mancuso.
Dall’analisi del compendio investigativo emerge, inoltre, che Muscia fosse dedito ad eseguire le disposizioni dei La Rosa, non solo nel settore estorsivo, ma anche in quello relativo all’individuazione dei luoghi dove nascondere i latitanti”.
Pasquale Megna
In capo all’indagato due reati di estorsione pluriaggravata nella qualità di “esecutore materiale della condotta delittuosa e coadiutore dei maggiorenti”. Inoltre dall’analisi degli atti di indagine è emerso che Megna “svolge anche il ruolo di intermediario per conto di Luigi Mancuso, occupandosi di veicolare le comunicazioni di quest’ultimo mediante la consegna di biglietti contenenti messaggi, il metodo dei pizzini, per come emerge dalla richiesta cautelare che cristallizza l’utilizzo di tale canale per inviare messaggi a Mancuso da parte del geom. Scordo, Domenico Salvatore Polito, Antonio La Rosa, i quali, tutti, si avvalevano dell’operatività di Megna”.
Giuseppe Ferraro
L’indagato avrebbe partecipato alle vicende estorsive della consorteria criminale e garantendo la perdurante disponibilità di armi in capo alla famiglia dei La Rosa, apportando “un contributo di chiara valenza sinergica al sodalizio, condividendone i piani ed i propositi delittuosi”.
Egidio Il Grande
Contestata all’indagato un reato di tentata estorsione aggravata in concorso con uno dei maggiorenti della ‘ndrina tropeana, vale a dire Antonio La Rosa, oltre che con Davide Surace, nella qualità di soggetto incaricato dell’ideazione e dell’esecuzione materiale della condotta delittuosa.
Pertanto, Il Grande sarebbe partecipe della consorteria, con il ruolo di referente e supervisore dei territori e dei soggetti sottoposti ad attività estorsiva, nonché quale concorrente nella pianificazione delle modalità attuative delle condotte criminose”.
Fernando La Monica
Nei suoi confronti viene mosso il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare per essersi “proposto come intermediario tra l’imprenditore Aristide Di Salvo, in qualità di suo collaboratore, e la ‘ndrina dei La Rosa, inducendo il primo a corrispondere denaro in favore della consorteria criminale ed ottenendo dagli esponenti di quest’ultima protezione e sostegno”.
La Monica, responsabile del ristorante” Marina Yacht club”, sito all’interno del porto di Tropea, si rivelava, dunque, “parte attiva del circuito che alimentava la condotta intimidatoria perpetrata in danno della vittima e compulsava Di Salvo paventando una situazione di rischio per lo stesso ed offrendosi di attivare esponenti della criminalità organizzata di sua conoscenza allo scopo di ottenere protezione, previo pagamento di un importo in denaro, da prelevare dagli incassi dei locali di sua proprietà”.
Vincenzo Calafati
Anche all’imprenditore si contesta il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare per “aver favorito, nella sua qualità di imprenditore attivo nel settore dell'”incoming”, l’infiltrazione delle cosche in iniziative e progetti nel settore turistico/alberghiero, assicurando che le forniture di merci e servizi fossero appannaggio degli imprenditori espressione del sodalizio e favorendo la consumazione di estorsioni in danno degli operatori turistici, secondo le indicazioni dei soggetti apicali dell’associazione cd anche ottenendo, con modalità illecite, contributi ed agevolazioni pubbliche, a tal fine sfruttando le proprie entrature nella politica e nella amministrazione regionale”.
La presunta vicinanza di Calafati alle consorterie locali, inoltre, emerge anche dalla conversazione captata il 24 agosto 2018, tra questi, Davide Surace e un’altra persona non indagata, nella parte in cui “i dialoganti discutono delle criticità insorte a seguito delle modalità di gestione imposte da Luigi Mancuso, meno disposto a riconoscere provvigioni alle compagini affiliate e, perciò, causa di una precarietà degli equilibri consolidatisi nel tempo”.
Pasquale Scordo
Anche per il geometra Pasquale Scordo, ex consigliere comunale di Tropea, il delitto contestato è concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto si sarebbe proposto “come intermediario tra l’imprenditore Domenico De Lorenzo e la ‘ndrina dei Mancuso. Questi compulsava De Lorenzo all’adempimento del “dovere”, consistente nell’elargizione di una somma di denaro, proveniente dagli utili della propria attività, allo scopo di ottenere protezione, ponendosi come intermediario della faccenda.
Dai contenuti delle conversazioni emerge allora il ruolo di intermediario dell’indagato quale punto di riferimento delle attività economiche e delle somme di denaro da acquisire da parte dell’articolazione riconducibile al clan di Limbadi”.
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