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Le motivazioni della sentenza sull’operazione Petrolmafie che hanno evidenziato l’esistenza di una sorta di super-associazione transregionale
«APPARE pacifica la configurabilità di una associazione per delinquere stabilmente dedita al commercio di prodotti petroliferi in evasione dell’Iva e delle accise dovute sugli scambi di prodotti petroliferi destinati al consumo, avuto riguardo al susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti reato ad opera di soggetti stabilmente collegati».
È, questo, uno dei passaggi nodali delle motivazioni della sentenza del processo “Petrolmafie-Dedalo” che ha visto – nel filone in abbreviato – la condanna di 18 imputati e l’assoluzione per tre.
PETROLMAFIE, IL VERDETTO DEI GIUDICI SULL’ASSOCIAZIONE
Il reato associativo. Il magistrato evidenzia la presenza di almeno “tre distinti gruppi di soggetti oltre a quello dei fratelli D’Amico (attorno ai quali ruota tutta l’inchiesta e ritenuti vicino al boss Luigi Mancuso), già intranei ad altre autonome associazioni, che collaborano sinergicamente tra loro, dando vita alla realizzazione di un pactum sceleris diverso e ulteriore rispetto a quello che li lega al sodalizio di appartenenza”.
È costituito infatti da “calabresi, campani, siciliani e pugliesi – con riferimento al gruppo di Mitidieri – e ognuno dispone già, di per sé, di una solida organizzazione, dotata di mezzi e uomini, che mette a disposizione del nuovo gruppo organizzato per la realizzazione del nuovo progetto criminale”. Alcuni soggetti poi, allo stato non identificati, “operano all’interno dell’Agenzia delle Entrate (verosimilmente di Taranto), oppure sono “autisti e collaboratori deputati alla consegna del denaro contante ai D’Amico” ed altri ancora.
E in questo contesto, secondo il gup, il minimo comune denominatore è costituito dai fratelli vibonesi D’Amico, che fanno “da collante tra i vari gruppi, assicurando la creazione e l’effettiva operatività di una sorta di consorzio-federazione tra associazioni, che opera come un organismo di natura autonoma, avente una propria struttura e propri autonomi obiettivi”.
NESSUNO DEI GRUPPI DA SOLO SAREBBE RIUSCITO A STRUTTURARE L’ORGANIZZAZIONE
D’altronde, viene ancora rilevato, nessuno dei gruppi esaminati sarebbe stato infatti in grado di realizzare in autonomia le attività: “Si necessitava invero di strutture diversificate; di soggetti compiacenti e tecnicamente attrezzati per assicurare il risultato, di basi operative in altri territori al fine di rendere più difficoltosa la ricostruzione della filiera di commercializzazione illecita del carburante. E proprio tali necessità sono state affrontate e risolte nel corso delle prime riunioni con i casalesi e durante il summit con i siciliani: in sostanza, i campani si sono rivolti ai D’Amico, introducendo, nel maturando progetto criminale, il gruppo di Mitidieri”.
Dal canto loro, i fratelli vibonesi “hanno assicurato il subentro nel progetto dei siciliani”. Tutti, poi, si sono “incontrati, direttamente o indirettamente, e messi d’accordo tra loro, hanno dato vita, ciascuno con il proprio ruolo e nella piena consapevolezza della partecipazione degli altri, ad un nuovo organismo confederato”, creando una “super-associazione transregionale, che pur composta da singole associazioni facenti capo o riconducibili alle singole realtà criminali organizzate dei territori di appartenenza, collaborano tra loro per commettere una serie indeterminata di delitti diversificati: emissione di Foi; riciclaggio, contrabbando di gasolio da autotrazione, trasferimento fraudolento di carburante”.
Plurimi gruppi sparsi sul territorio nazionale. Il gruppo è quindi costituito da numerosi componenti dislocati in varie parti del territorio nazionale che “collaborano tra loro al comune di fine di trarre profitto dalla commercializzazione di gasolio da autotrazione acquistato in evasione di imposta”.
IL RUOLO DEI CAMPANI NELL’ORGANIZZAZIONE
Infatti, grazie al contributo dei campani “è stato individuato un fornitore compiacente di gasolio da autotrazione (la Made Petrol Italia con sede a Roma), disposto ad emettere falsa documentazione contabile e di trasporto al fine di consentire l’acquisto del predetto carburante a tassi agevolati. Facendo infatti figurare gli acquisti come aventi ad oggetto gasolio agricolo anziché da autotrazione, il sodalizio è stato in grado di approvvigionarsi di gasolio da autotrazione al prezzo, molto più basso perché con tassazione inferiore, del gasolio agricolo, per poi rivenderlo sul mercato e lucrarci. Di quel gasolio, principalmente destinato ai campani, ha beneficiato anche il gruppo dei fratelli D’Amico, che lo ha acquistato dalla General Petrol a prezzi competitivi e rivenduto, in parte, ai siciliani”.
OPERAZIONE PETROLMAFIE, COME L’ASSOCIAZIONE GUADAGNAVA
Il processo ha fatto emergere, poi, che per “ogni falsa autobotte presa in carico dalla “Dr Service”, i D’Amico hanno ricevuto 1.000 euro. A sua volta, la Made Petrol Italia, ha guadagnato quasi 5.000 euro per ogni autobotte uscita dal suo deposito con modalità illecite. Anche i siciliani, che hanno agito nella fase dello scarico simulato, hanno percepito 1.500 euro per ogni autobotte di gasolio agricolo scaricata, siglando altresì con i fratelli D’Amico un rapporto di fornitura di carburante parallelo (i siciliani, in cambio del loro coinvolgimento, volevano infatti garantita la fornitura di 12 autocisterne settimanali)».
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