Andrea Mantella
3 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Neanche lui ricorda bene l’anno esatto: «Era il 1990-1991», afferma, ma di una cosa è certo: che era maggiorenne all’epoca e di non aver mai scontato alcuna condanna. Dopo aver parlato del duplice omicidio Callipo-Tavella, Andrea Mantella, compulsato dalle domande del Pm della Dda Annamaria Frustaci, racconta quello ai danni di Michele Neri, soffermandosi sulle fasi e sulla figura di suo cugino, Filippo Gangitano che qualche anno dopo sarà lui stesso a far giustiziare per ordine dei vertici del clan Lo Bianco-Barba: «Lui guidava la motocicletta, era una Cagiva rossa, Freccia Rossa 125 del genero di Enzo Barba, ovviamente la targa era coperta. E questo delitto l’abbiamo commesso su Vena di Ionadi e mi è stato commissionato da Enzo Barba, Filippo Catania e in particolare Enzo Barba, Paolino Lo Bianco e Carmelo Lo Bianco».
Scendendo quindi nei dettagli – sempre nei limiti di quello che si può dire visto che sull’episodio sono in corso indagini – Mantella evidenzia intanto che si sta parlando della fine anni ’80, inizio anni ’90, e che «Gangitano era un azionista, il pupillo di Filippo Catania e praticamente eseguiva solo ed esclusivamente gli ordini che gli venivano impartiti da questi. Successe questo: io venni convocato fianco al chiosco dei formaggi di Carmelo Lo Bianco, ai tempi c’era un ufficio del Vigile Urbano, si chiamava Don Peppino. Nel locale c’erano lui ed Enzo Barba che mi dissero: “Andreuccio, devi fare un altro…”, come si dice? Uno “sballo” in termine vibonese, che significa un omicidio. “Te la senti?” mi chiesero, e io risposi: “Certamente sì”, e allora aggiunsero: “Ti mando Paolino, mio figlio e ti fa vedere questa persona”. Praticamente Vincenzo Barba si raccomandò affermando che questo Michele Neri era un furbo e che camminava armato, dicendomi quindi di non fallire l’obiettivo, al ché replicai: “Ci provo”».
Quindi, Mantella riferisce di essere andato «con Paolino Lo Bianco su Vena di Ionadi, che ai tempi aveva una Y1O verde turbo, e che mi fece vedere questa futura vittima, fornendomi informazioni su tutte le sue abitudini, gli spostamenti, e mi mostrò la sua macchina, una Fiat Ritmo di quei tempi, se non ricordo male era tra il rosso e il granato. Mi ha detto: “Questo cornuto ha l’abitudine che la mattina viene a prendere con i bidoni ad una fonte qui vicino e lo becchi qui se viene di mattina presto”. Enzo Barba si mise quindi a disposizione, mi fece dare la moto di suo genero, questa Cagiva Freccia Rossa, e Catania mandò Gangitano per guidarla la moto. Io come al solito avevo il compito di premere il grilletto e così fu. Andai sul posto e questo sfortunato lo beccai con il bagagliaio posteriore aperto della macchina con dentro bidoni».
Ad un certo punto, però, Neri «fece il gesto di prendere un borsello, allora io ricordando i consigli cli Enzo Barba ho detto: “Questo cornuto mi sta sparando” e faccio finta di sganciarmi il casco. Così lo spiazzai e lui desistette. A quel punto io gli sparai con un revolver calibro 32 e lo uccisi, purtroppo».
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