X
<
>

Andrea Mantella

Share
3 minuti per la lettura

Duplice omicidio Callipo Tavella, il racconto agghiacciante del collaboratore di giustizia Andrea Mantella

VIBO VALENTIA – «Lei si è accusato dell’omicidio di Filippo Gancitano?»; «Purtroppo sì, dico “purtroppo”, perché per me è stata una scelta difficile e quindi dovetti dare ordine, perché io sono stato quasi obbligato dalla consorteria Barba-Lo Bianco ad ucciderlo in quanto lo stesso purtroppo era un omosessuale e quindi all’interno della ’ndrangheta a Vibo si vociferava che non poteva starvi un gay». La domanda è del Pm della Dda, Annamaria Frustaci, la risposta è quella dell’ex boss scissionista Andrea Mantella nel corso del filone in Corte d’Assise del processo Rinascita-Scott.

E quello di Gangitano – il cui corpo fu sotterrato e non è stato mai rinvenuto nonostante le ricerche – è uno dei delitti del quale il pentito si è autoaccusato nel momento in cui ha iniziato la sua collaborazione con la giustizia, affermando di essere «stato obbligato da Enzo Barba e da Carmelo Lo Bianco; Barba praticamente ha imposto al mio capo di allora, Carmelo Lo Bianco, che Gancitano doveva essere soppresso in quanto non voleva fare delle figuracce con il clan madre di San Luca guidato a quei tempi da Domenico Alvaro che risultava un capo crimine».

Il duplice omicidio Callipo Tavella

Nell’udienza precedente le dichiarazioni sulla vittima di lupara bianca erano state molto più articolate: “Il povero Gangitano era un mio parente, praticamente un nipote di mia mamma, un mio cugino… militava come me all’interno del clan Lo Bianco-Barba da minorenni e aveva il grado di Camorrista. Ai tempi abbiamo commesso tre omicidi: quello duplice di Francesco Callipo e Rosario Tavella e l’uccisione di Michele Neri, in nome e per conto del clan Barba-Lo Bianco i cui i mandanti erano Enzo Barba, Paolino Lo Bianco, Filippo Catania e Carmelo Lo Bianco”.

I primi due furono “puniti perché si trattennero il bottino di una rapina e quindi mi diedero mandato di ucciderli e io lo feci». Mantella racconta, pur senza entrare troppo nello specifico, i particolari della vicenda: «La rapina fu commessa ai danni del bar “Novantesimo Minuto”, verso fine degli anni ’90, e ai tempi c’era la febbre del Totocalcio. I ragazzi si sono tenuti l’incasso del colpo dicendo che erano stati inseguiti dalla Polizia e dalle Forze dell’Ordine e di aver buttato la borsa con i soldi, il fucile un canne mozze. Ma Enzo Barba in particolare, che era insieme al fratello Bruno, non se l’è bevuta in quanto ai tempi quest’ultimo aveva un’agenzia di assicurazione attaccata proprio a questo bar-ricevitoria e sapeva tutto praticamente. Il proprietario aveva la mano monca, si chiamava Nicola Triglia e confessava tutto a Barba e gli diceva che praticamente quel pomeriggio aveva fatto il pienone di incassi».

Attirati in trappola

Callipo e Tavella sarebbero quindi stati attirati in trappola e liquidati da Mantella e Gangitano: «Questa trappola l’ha organizzata Enzo Barba tramite il suo nipote Giuseppe Barba, alias Pino Presa, che aveva convocato i due ragazzi con la scusa che c’era in previsione un’altra rapina, ai tempi si diceva “milionaria”. Questi hanno abboccato e hanno detto: “Vai con Andrea – che sarei io – e con il “Picciotto” – che sarebbe Gangitano, perché questo era il suo alias – e con Renato – che sarebbe Renato Furlano, che ha concorso con me quella mattina – andate con la Jeep – era un Suzuki Vitara – a prendere la moto e i caschi, così fate questa rapina”. E io avevo l’ordine ben preciso di uccidere questi due ragazzi e così quando siamo arrivati nei pressi di un acquedotto ai tempi che era in costruzione” nei pressi dell’allora costruenda Tangenziale Est, “dove c’è la mia azienda ma ai tempi non si poteva arrivare da questa parte, perché praticamente si entrava dal lato carcere di Vibo Valentia e si facevano due o trecento metri per entrare e lì c’era una cabina dell’acquedotto. Quindi ci siamo fermati e li io ho sparato a tutti e due; uno è morto subito, l’altro ho finito i proiettili e purtroppo l’ho dovuto abbattere con dei sassi. È stata una cosa brutta».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE