INDICE DEI CONTENUTI
- 1 Il reato associativo
- 2 Rocco Anello e le attività ad ampio raggio
- 3 Il distacco dai Mancuso e l’avvicinamento ai Vallelunga e Bellocco
- 4 Processo Imponimento: Anello-Fruci sodalizio tuttora attivo
- 5 Il controllo del territorio e delle attività economiche
- 6 La spartizione coi Bonavota
- 7 L’estorsione a Facciolo
- 8 I rapporti con altre cosche di ‘ndrangheta
VIBO VALENTIA – In oltre 2.200 pagine sono contenute le motivazioni della sentenza del processo in abbreviato “Imponimento” contro i presunti esponenti della cosca Anello-Fruci. Un verdetto che il 20 gennaio del 2022 recitò così: 521 anni di carcere per 65 imputati, e 245mila euro di multa e 2,5 milioni di euro di risarcimento (LEGGI). A pronunciarlo il gup distrettuale Francesco Rinaldi che adesso spiega, appunto i motivi della decisione soffermandosi in primis sul riconoscimento dell’associazione mafiosa.
Il reato associativo
Secondo il magistrato, nel procedimento è emerso «il pieno inserimento della cosca Anello nella ‘ndrangheta vibonese, da inquadrarsi nel contesto della ‘ndrangheta unitaria. Assolutamente condivisibile è la valutazione del Pm, secondo il quale gli Anello-Fruci sono uno dei sodalizi più potenti e pericolosi dell’area vibonese che, per storia, vocazione, collocazione geografica, ha sempre intrattenuto stretti rapporti con le cosche del lametino e con quelle delle Serre vibonesi, ha sempre manifestato tendenze espansionistiche nelle aree circostanti (soprattutto verso il territorio di Pizzo Calabro, “incontrandosi” con i Bonavota di Sant’Onofrio), ha dovuto, necessariamente, “fare i conti” con l’egemonia della cosca Mancuso, con la quale si è dovuta sempre relazionare – come tutte le cosche della zona, d’altronde –, in passato in termini anche conflittuali, di recente, invece, in termini di armonica e fisiologica spartizione del potere mafioso».
Rocco Anello e le attività ad ampio raggio
Un sodalizio che «operava “a tutto tondo” negli affari criminali, nei settori più disparati, ovunque potesse esercitare la propria influenza parassita e predatoria». Le intercettazioni consentono di ritenere dimostrati «la gerarchia interna al gruppo, il controllo del territorio, le attività estorsive e la scientifica infiltrazione di interi settori dell’economia (tra i quali quelli di “elezione” del sodalizio, quello turistico alberghiero, il settore dell’energia eolica, il settore del taglio boschivo), la disponibilità di armi, il traffico di droga, i rapporti con la politica locale e nazionale e, purtroppo, con esponenti delle forze dell’ordine, i rapporti con le altre organizzazioni criminali, le mire espansionistiche non soltanto nei territori vicini, ma anche all’estero (in Svizzera, nonché in Germania, ove Rocco Anello è titolare del “Mainz”), ove è stata accertata l’esistenza, tanto di affari illeciti – quali il commercio di monete false, il traffico di armi, il riciclaggio dei proventi di origine delittuosa, addirittura, stando agli esiti dell’attività dell’agente sotto copertura, trasportati in Lichtenstein – quanto di affari apparentemente leciti, quali investimenti in ristoranti, strutture recettizie, attività imprenditoriali di vario genere, con la conseguenza per cui oggi Anello, agli occhi degli interlocutori stranieri, si presenta quasi come una figura imprenditoriale a tutto tondo».
Il distacco dai Mancuso e l’avvicinamento ai Vallelunga e Bellocco
Nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia si legge come gli Anello costituissero «una ‘ndrina che negli anni ’90 si era staccata dai Mancuso, entrando in contrasto con i vertici della storica organizzazione, sposando la linea garantita da Damiano Vallelunga che, anch’egli in contrasto con la famiglia di Limbadi, faceva capo direttamente a Umberto Bellocco di Rosarno».
Il pentito Bartolomeo Arena confermava l’esistenza di quello che è un «vero e proprio programma di “restaurazione” degli equilibri e degli assetti ‘ndranghetistici nella provincia di Vibo Valentia, scompaginati durante la gestione di Pantaleone Mancuso e la detenzione di Luigi Mancuso; programma definito e perseguito proprio da quest’ultimo, uscito dal carcere, e portato avanti con successo in forza della sua indiscutibile autorevolezza mafiosa e delle sue abilità “diplomatiche”»; si trattava, scrive ancora il magistrato, di un progetto che, anche dal punto di vista logico, «non avrebbe non potuto coinvolgere anche un boss del calibro di Rocco Anello (condannato a 20 anni), considerato da Arena uno dei quattro capi più influenti di tutta l’area vibonese, insieme a Saverio Razionale, Giuseppe Antonio Antonio e Luigi Mancuso».
E tale prova che il gup ritiene tangibile emerge «con plastica evidenza, dalla vicenda relativa sulla alla costruzione del Resort “Galia” Pizzo, oltre che dalla quella dei lavori per la costruzione della Stazione di San Pietro a Maida, da cui è emerso che i due boss – Luigi Mancuso ed Anello – tramite loro intermediari hanno organizzato un summit per risolvere insieme le problematiche legate alla spartizione mafiosa del territorio».
Processo Imponimento: Anello-Fruci sodalizio tuttora attivo
Nelle motivazioni si fa riferimento al fatto che l’esistenza della compagine associativa riconducibile al gruppo Anello-Fruci, gerarchicamente strutturata e «al cui vertice si pone sempre la figura di Anello Rocco», sia ancora attuale traspare non solo dalle dichiarazioni più recenti dei collaboratori di giustizia ma anche dai riscontri ottenuti dall’attività captativa, in particolare da quelli che corroborano i numerosi e recenti contatti tra Rocco Anello e i fratelli Vincenzo e Giuseppe Fruci, «indicativi di un legame solido, stabile e duraturo, pur con alcune precisazioni».
Il controllo del territorio e delle attività economiche
Una strategia, questa, attuata «mediante un metodo di intimidazione diffusa, emblematicamente rappresentato dai numerosi episodi di estorsione volti ad imporre ad imprenditori locali le imprese appaltanti per la realizzazione di lavori di edilizia, movimento terra e fornitura di materiali, sistematicamente individuate dai vertici della consorteria».
Al riguardo si fa menzione delle vicende estorsive ai danni della società “Meridiana Srl impegnata nella realizzazione dei lavori sul cantiere per la costruzione di un punto vendita “Eurospin” ed anche l’ulteriore vicenda ai danni di Vincenzo Renda relativa all’imposizione di aziende di fiducia di Rocco Anello per i lavori sul cantiere ove era in costruzione il “Galia”. In entrambi i casi le indagini hanno rivelato come l’ingerenza di Anello Rocco da una parte e del gruppo dei Bonavota dall’altra abbia progressivamente determinato l’estromissione di ciascun committente dal processo di scelta del contraente, inducendo gli imprenditori subire passivamente gli equilibri mafiosi prestabiliti sul territorio e le imposizioni delle imprese selezionate dai vertici delle rispettive consorterie.
Ritenuto particolarmente significativo dal gup è il dato emerso nella vicenda estorsiva ai danni di Renda da cui si può evincere «un sistema di spartizione dei lavori tra i Bonavota e gli Anello delineato grazie all’intervento del boss Luigi Mancuso in qualità di figura apicale della ’ndrangheta vibonese»; e ugualmente significativa in tale ottica appare anche la vicenda dell’affidamento delle forniture e dei lavori sul cantiere della Stazione di San Pietro a Maida. Il controllo del territorio e delle attività economiche si evince a giudizio del magistrato altresì dalla di spartizione dei lotti boschivi tra le cosche degli Anello con quella degli Iozzo e dei Bruno, in base a quanto emerso dal contenuto del narrato del collaboratore Salvatore Danieli e dagli esiti dell’attività captativa.
Rilevano poi le «ingerenze, sempre da parte della cosca capeggiata da Anello Rocco, anche per quanto concerne l’imposizione delle “guardianie” presso il villaggio “Garden Resort” nonché l’individuazione di imprese preposte alla fornitura di generi alimentari nel medesimo contesto turistico. Nella stessa cornice di intimidazione diffusa rileva anche l’esplicita minaccia proferita dallo stesso Rocco Anello all’indirizzo di Emanuele Stillitani: “Le fucilate ti arrivano prima da Filadelfia che da Limbadi’), evocativa di una forza intimidatrice derivante proprio dal vincolo associativo, capace di generare nel destinatario una forte percezione di pericolo riconducibile alla presenza di due cosche di `ndrangheta (quella di Anello di Filadelfia e quella di Mancuso di Limbadi)».
L’estorsione a Facciolo
Si parla, in sentenza anche dell’episodio dell’imprenditore Facciolo, «figura molto vicina ad Rocco Rocco al quale il primo si rivolgeva per far cessare le pretese estorsive provenienti dai vibonesi dei Lo Bianco nell’ambito della gestione dello stabilimento balneare “Lido degli aranci”», e altrettanto significativo appare «uno scambio tra i rappresentanti della Valtur che avevano assunto la gestione del Garden Resort».
I rapporti con altre cosche di ‘ndrangheta
Tali rapporti emergono dagli «incontri tra i soggetti apicali del gruppo Anello-Fruci con altri esponenti di `ndrangheta e che confermano l’inserimento della cosca investigata nella più vasta galassia criminale mafiosa. Significativo al riguardo è l’episodio di un summit convocato su richiesta di Anello Tommaso con i Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia per stabilire quale gruppo criminale tra questi ultimi e i Tripodi fosse ‘legittimato” a riscuotere le somme a titolo estorsivo all’imprenditore Facciolo per la gestione del Lido degli aranci. Altrettanto rilevanti sono le captazioni in cui Anello Rocco si soffermava sull’intervento salomonico di Luigi Mancuso per la equa suddivisione dei lavori su un cantiere tra le imprese sponsorizzate dallo stesso Anello e quelle riconducibili ai Bonavota».
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