Il luogo del rinvenimento dell'auto utilizzata dai killer e poi bruciata
4 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Tre condanne e una assoluzione. Si chiude così il processo in abbreviato avente ad oggetto l’omicidio Belsito a Pizzo, avvenuta l’1 aprile del 2004. Il gup distrettuale di Catanzaro Giuseppe De Salvatore, ha inflitto 30 anni a testa a Nicola Bonavota (45 anni) e Francesco Fortuna (41 anni), entrambi di Sant’Onofrio, 8 anni per il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, ex boss di Vibo Valentia, e ha invece assolto Pasquale Bonavota , 47 anni – fratello di Nicola –, accogliendo in questo caso le richieste avanzate dall’avvocato Tiziana Barillaro.
Nel corso dell’udienza del 7 aprile scorso il pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, aveva invocato la condanna all’ergastolo per tre dei quattro imputati. Le richieste di carcere a vita erano state avanzate per i due fratelli Bonavota e per Fortuna, mentre per Mantella, la richiesta era stata di 7 anni e 2 mesi di reclusione, con il gup che ha invece inflitto qualche mese in più.
L’OMICIDIO BELSITO A PIZZO
Domenico Belsito venne ferito la sera del 18 marzo di 17 anni fa a Pizzo, nei pressi del Bar Piccadilly. Si trovava in auto con i due figli, al tempo piccoli, quando nei pressi dell’attività di ristoro fu invitato a fermarsi e prendere un caffè. Appena fermata l’auto, sopraggiunsero i killer, nelle persone di Salvatore Mantella e Francesco Scrugli (ucciso nel 2012) che aprirono il fuoco con un revolver ferendo l’uomo, allora 34enne, alla schiena.
Belsito venne portato in ospedale e lì vi rimase fino all’1 aprile quando spirò. La notizia fu appresa dai Bonavota con favore visto che la sera stessa – avevano riferito gli investigatori – si incontrarono a Pizzo col gruppo di Mantella per festeggiare.
Investigatori che tuttavia erano riusciti a ricostruire i dettagli dell’omicidio e a individuare il presunto movente: esso sarebbe infatti maturato nell’ambito delle dinamiche interne ai clan e si innestava nella scia di una guerra di espansione scatenata dai Bonavota oltre il territorio di Sant’Onofrio. Rilevanti erano state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia affiancate dai riscontri effettuati dai carabinieri.
Ma ci sarebbero state altre due motivazioni alla base dell’omicidio Belsito a Pizzo, per come illustrato dagli inquirenti nell’immediatezza degli arresti del 15 gennaio del 2021 e afferirebbero ad una relazione extraconiugale intrattenuta dalla vittima con la donna di un altro componente del clan e alla circostanza che lo stesso Belsito si sarebbe allontanato dal sodalizio, appoggiando il gruppo rivale.
Un delitto che sancisce la nascita di uno scambio di favori tra la cosca Bonavota, alla quale apparteneva la vittima prima di svincolarsi, e il clan criminale emergente di Vibo e guidato da Mantella che aveva chiesto la gambizzazione, poi avvenuta la sera dell’8 marzo precedente, del cognato Antonio Franzè. E lo scambio tra le due consorterie avrebbe portato ad altri favori reciproci e tra questi vi sono i due omicidi di Raffaele Cracolici e Domenico Di Leo, entrambi rivali del clan Bonavota, avvenuti nella primavera-estate nel 2004.
Il laborioso lavoro investigativo, ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia, nonostante il lungo arco di tempo trascorso dall’efferato evento che scosse all’epoca la tranquilla cittadina napitina, aveva portato ad individuare nei vertici della “Locale di ’ndrangheta” di Sant’Onofrio i presunti mandanti e negli elementi dell’emergente gruppo criminale di Andrea Mantella i presunti esecutori materiali del brutale omicidio, maturato nell’ambito di logiche di scambio, finalizzate a sancire l’alleanza tra i due sodalizi criminali.
La spedizione di morte, come detto, aveva fatto seguito, a pochi giorni di distanza, al raid punitivo eseguito da killer della Locale di Sant’Onofrio presso l’abitazione di Antonio Franzè, 66 anni, rimasto ferito alla spalla destra da colpi di arma da fuoco. Franzè doveva morire perché – secondo quanto emerso dall’inchiesta – avrebbe mancato di rispetto a Mantella sminuendone in città la sua reputazione.
A processo con rito ordinario, invece, Salvatore Mantella ritenuto mandante dell’uccisione e cugino del collaboratore di giustizia che avrebbe partecipato materialmente al delitto. Nel collegio di difesa, oltre alla Barillaro, gli avvocati Vincenzo Gennaro, Nicola Cantafora, Sergio Rotundo, Manfredo Fiormonti e Salvatore Staiano
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