L'aula bunker dove si sta celebrando il processo Rinascita Scott
3 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – «Giuseppe Accorinti era visto come un dio a Zungri». Sono le parole che Elisabetta Melana, compagna di Ambrogio Accorinti, fratello del presunto boss del Poro, fa mettere nero su bianco ai carabinieri in uno dei verbali acquisiti al processo “Rinascita-Scott”.
La donna, oggi testimone di giustizia, racconta la paura della comunità nei confronti di Peppone e in generale della famiglia Accorinti: «Se non facevano quello che volevano gli incendiavano i capannoni o commettevano altri danneggiamenti», racconta, per poi affermare che persone chi si recava da loro per recuperare oggetti che erano stati loro sottratti. Circostanze che sono state notate dalla stessa Elisabetta Melana de visu, tant’è che riferisce di aver «visto dal vivo le persone che si rivolgevano a mio marito Ambrogio o al fratello Giuseppe per cercare di recuperare eventuali refurtive; a volte mi capitava di sentire le richieste che gli facevano per cui potevo capire che si trattava del recupero di cose rubate. Si rivolgevano a loro poiché in caso di recupero dello refurtiva gli Accorinti ottenevano delle ricompense e poi perché la gente – che spesso ignorava il fatto che gli autori dei furti fossero gli stessi Accorinti – riteneva loro in grado di fare queste “investigazioni”; in un occasione ho letto una lettera di colore verde (evidentemente una comunicazione giudiziaria), nella quale c’era scritto che Ambrogio» unitamente a un’altra persona della quale la donna fa il nome, «aveva perpetrato un furto di zucchine nel territorio di Lamezia Terme».
La Melana aggiungeva che tutti coloro i quali «venivano a trovarci, si rivolgevano al mio convivente o ai fratelli Pietro e Giuseppe per recuperare la refurtiva forse perché Giuseppe a Zungri è considerato come un Dio. Venivano a trovare principalmente lui, in caso contrario si rivolgevano al mio convivente. Spesso Giuseppe Accorinti era solito ricevere dei negali da diversi soggetti anche provenienti dalla Sicilia».
Alla donna, tuttavia, non risulta che il convivente Ambrogio Accoriunti «faccia parte di organizzazioni criminali», anche se precisava di «sapere per certo che a Zungri, tutti hanno paura di lui e dei suoi fratelli in quanto se la gente non fa quello che dicono loro, poi gli incendiano i pagliai o gli causano altri danneggiamenti». La droga. Altro aspetto trattato da Elisabetta Melana nei vari verbali ha riguardato le presunte attività illecite – soprattutto legate alla coltivazione di marijuana – messe in campo dai fratelli Accorinti. Attività di irrigazione che addirittura avrebbero anche portato a far restare a secco due frazioni del Comune di Zambrone.
Raccontava la testimone di giustizia: «Sono a conoscenza che i tre fratelli Pietro, Ambrogio e Giuseppe Accorinti coltivano della, canapa indiana. In una circostanza, circa 26 anni la, ho notato personalmente che i tre coltivavano delle piantagioni di canapa indiana. So per certo che fino ad oggi tutti continuano tale attività, tanto è vero che di recente il mio convivente mi chiese di andare a zappare “il peperoncino”, ma io rifiutai. In tale occasione lui si lamentò dicendo che le mogli di tutte le altre persone andavano a zappare ed io – intuendo che si trattava di coltivare lo canapa indiana – gli risposi che non volevo finire in carcere. A tale risposta mio marito – confortando esplicitamente la mia intuizione – affermò testualmente: “Meglio… così ti vai a riposare un po’”». In un’altra occasione, la donna affermava di aver compreso che il proprio convivente, insieme ad un altra persona, si «stava occupando dell’irrigazione per la coltivazione di marijuana dal fatto che la fontana presente nelle frazioni Daffinà e Daffinacello del comune di Zambrone è stata lasciata aperta, facendo restare senza acqua la zona. Di questo Ambrogio fu avvertito da una persona che non ricordo come si chiama, la quale gli disse di non avvicinarsi alla fontana, evidentemente per la natura illecita delle attività di irrigazione in questione».
La testimone ricordava inoltre che di questo episodio Ambrogio si sarebbe lamentato con la persona con cui si occupava dell’attività, ritenendola responsabile di quanto accaduto.
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