Giuseppe "Peppone" Accorinti
3 minuti per la letturaLAMEZIA TERME – Il presunto boss di Zungri, Giuseppe Antonio Accorinti, avrebbe saputo la località segreta in cui si trovava nascosta la cognata, divenuta testimone di giustizia. La circostanza è stata raccontata ieri al processo “Rinascita-Scott”, dal pentito Michele Camillò, rispondendo alle domande del pm della Dda, Antonio De Bernardo. È il 24 giugno del 2018. Alla Stazione carabinieri di Zungri, nell’altopiano del Poro si presenta una donna che dice di essere stata picchiata dal compagno. È impaurita e disperata. Chiede aiuto e denuncia il suo uomo per maltrattamenti. Lei è Elisabetta Melana, 51 anni. Oggi è una testimone di giustizia e le sue dichiarazioni sono confluite nel maxiprocesso. E uno degli imputati p Ambrogio Accorinti, 56 anni, di Zungri, fratello del presunto boss del Poro e compagno della donna.
Sulla vicenda Camillò riferisce un particolare inquietante: Giuseppe Accorinti sapeva dove lo Stato aveva nascosto la cognata e a riferirlo al boss di Zungri sarebbero stati addirittura gli stessi carabinieri della locale Stazione dell’Arma. Collegato da un sito riservato con l’aula bunker di Lamezia Terme è stato proprio il pentito vibonese a svelare quanto saputo da un “fedelissimo” del boss. «In carcere a Lecce – ha dichiarato rispondendo alle domande del pm De Bernardo e confermando quanto già messo a verbale – Domenico Cichello mi confidò che Peppone Accorinti aveva appreso che una sua parente a nome Melana e Mantella Andrea si trovavano rifugiati presso il campo di aviazione che ospita il comando della benemerita e tale notizia l’aveva appresa perché i carabinieri di Zungri frequentavano quel sito. Il Cichello sapeva che la Melana faceva le pulizie nella caserma dei Carabinieri».
Nel corso dell’esame, Camillò ha anche parlato di Antonio Ventura, il carabiniere imputato in “Rinascita Scott” per aver passato alle cosche di ‘ndrangheta notizie riservate. «Faceva la scorta al sindaco di Vibo – ha affermato – e di lui mi domandò una persona che era detenuto con me ed era di Altamura proprio come il carabiniere. Si chiama Sciarantino e mi disse che immaginava che lo avevano arrestato perché non è uno che si accontenta mai dello stipendio”.
Il pm De Bernardo ha poi chiesto se Ventura avesse avuto contatti con i sodali di Camillò: “Non mi hanno mai parlato di questa persona ma si salutavano con Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea quando si vedevano sul corso o vicino al Tribunale. Non si avvicinavano mai perché lo vedevamo sempre con moglie e figlio”. Un altro retroscena è emerso quando il pentito si è soffermato sulla foto di Antonio Macrì, il padre di “Mommo”: «Andava ai colloqui del figlio in carcere con la macchina di Danilo Tripodi che si metteva a sua disposizione per qualsiasi cosa. Io stesso ho accompagnato Antonio Macrì a Melfi con la Panda di proprietà di Tripodi». E Tripodi citato da Camillò è Danilo Tripodi, impiegato del Tribunale di Vibo Valentia e anche lui imputato in “Rinascita Scott”.
Camillò ha anche parlato delle tensioni che hanno rischiato di scatenare una vera e propria guerra di ’ndrangheta nel Vibonese: «Mommo Macrì ci disse che Accorinti voleva uccidere Antonio Pardea, Bartolomeo Arena e mio fratello piazzando due killer all’istituto Professionale. La mia sensazione è che mentisse per farci camminare tutti armati. Voleva scendere addirittura con le moto a Pannaconi per uccidere Michelangelo Barbieri (nipote di Accorinti, ndr). Provava astio e con le sue folli idee voleva far capire a tutti che non aveva paura di nessuno».
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