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L'ospedale di Vibo Valentia

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LAMEZIA – Ultimo giorno di udienza del processo Rinascita-Scott prima della pausa estiva. E come nei precedenti, è sempre l’escussione del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena a tenere banco.

Davanti al Collegio giudicante presieduto da Brigida Cavasino (a latere Gilda Romano e Claudia Caputo), l’ex affiliato del gruppo Pardea-Ranisi, rispondendo alle domande del pm della Dda, Annamaria Frustaci, sta proseguendo con i riconoscimenti fotografici di soggetti, imputati e non, approfondendone la conoscenza e narrando circostanze che li avrebbero visti coinvolti.


L’OSPEDALE E IL COMUNE DI VIBO SALOTTO DI ’NDRANGHETISTI

Dalle dichiarazioni di Bartolomeo Arena emerge un dato inquietante se fosse vero: l’ospedale di Vibo Valentia sarebbe stato diviso tra fazioni, con medici che si sarebbero fatti dispetti a vicenda solo per una questione di ideologie politiche.

La vicenda il pentito la racconta parlando sempre della figura dello zio Domenico Camillò (cl.’41), considerato a capo della ‘ndrina di Vibo, che per tanti anni ha lavorato allo “Jazzolino”, entrando come semplice dipendente per poi finire, negli ultimi anni, come responsabile dell’Archivio, “anche se non è che avesse tutte queste competenze. Con lui lì, facevamo tutto quello che volevamo: una volta, ad esempio, avrei dovuto sottopormi ad un intervento che mi era stato fissato a 3-4 mesi di distanza, ma per accelerare i tempi andai con mio zio a parlare col medico Rocchino (non indagato, né imputato) e alla fine l’operazione fu fatta a distanza solo di una settimana”.

Ma è quello che sarebbe avvenuto nelle more ad essere interessante: “Il sanitario ci precisò però che avrebbe dovuto eseguire l’intervento al nosocomio di Tropea e quando nel chiedemmo il motivo lui rispose che, vista la presenza di fazioni avverse tra medici, per via della politica, non gli era consentito di operare nella sala del presidio vibonese e che in caso avremmo dovuto chiedere il permesso al dottore Franco Petrolo (non indagato né imputato)”.

Un ospedale, quello del capoluogo di provincia, che sarebbe stato diviso tra personalità politiche e “comandato da una serie di personaggi”. Ad ogni modo, Arena insieme allo zio si recarono “da Petrolo il quale rispose che potevo essere operato, solo che per non dare soddisfazione all’altro medico, sarei dovuto andare a Tropea, per come in effetti avvenne”.

Il teste ha quindi evidenziato che lo zio, tramite la “compiacenza dei medici, ha fatto visitare soggetti legati alla ndrangheta – anche latitanti – come in occasione del ferimento ai danni di Francesco Mancuso dopo l’agguato in cui morì Lele Fiamingo. Quando c’era lui, tutti i sanitari sono stati sempre disponibili nei confronti della “Società di Vibo”, e poi anche con i Pugliese”.

E questo presunto rapporto “si estrinsecava nel falsificare i giorni di convalescenza per truffare le assicurazioni”, ha aggiunto il teste, riferendo che in una occasione “il medico Vincenzo Giunta (non indagato né imputato) mi aveva riferito che non potevo chiedere più di 30 giorni, alterando comunque il referto”.

Uno “Jazzolino” nel quale avrebbero lavorato altre persone legate agli ambienti criminali: “C’erano ad esempio Paolino Lo Bianco con la funzione di ascensorista e Giuseppe Barba, alias “Pino Presa”, Se parliamo dell’ospedale come del Comune di Vibo, parliamo di un salotto di ’ndranghetisti”, ha commentato Arena.

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