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VIBO VALENTIA – Prosegue l’esame del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena (SCOPRI TUTTE LE SUE RIVELAZIONI) nel processo Rinascita Scott. Nell’udienza di oggi Arena si è soffermato su altre figure di spicco della ‘ndrangheta vibonese.
DE RITO «SAPEVA DA MESI DELL’OPERAZIONE»
Quando Bartolomeo Arena e Francesco Antonio Pardea si allontanarono volontariamente nell’aprile del 2019 (per poi tornare il mese successivo), Domenico Bonavota «ci mandò a dire tramite suo cugino, Michele Bonavota, detto “il Conte”, che se avessimo avuto necessità di “guardarci” saremmo potuti andare a Sant’Onofrio, offrendoci in caso ospitalità. Evidentemente non era a conoscenza dei motivi della nostra sparizione e quindi pensò che dovevamo fuggire, ma la motivazione erano altre: Pardea aveva appreso da Mario De Rito che era imminente una operazione, e quando tornammo ci disse anche il nome dell’operazione che chiamò “Rinascita”. Non ci disse mai da chi l’avesse appresa, so che si recava da alcuni avvocati (pronunciando il nome di uno di questi che non è indagato) e tramite loro qualcosina riusciva a sapere. In secondo luogo, volevamo aprire una Locale di ’ndrangheta a Nerviano, nel Milanese, e trafficare droga».
SARO CASSAROLA NEL MIRINO DEI KILLER SLAVI
La circostanza inedita emerge sempre dalle parole del collaboratore di giustizia e risale all’aprile-maggio del 2019: «Quando io e Pardea avevamo simulato l’allontanamento e ci trovavamo a Nerviano, incontrammo più volte Mario De Rito e in una occasione ci disse che poteva reperire degli slavi residenti nell’hinterland milanese per farli venire in Calabria per uccidere Rosario Pugliese. A loro sarebbe bastata la foto di Pugliese per venire qui. Solo che poi il loro capo fu arrestato e loro dissero a quel punto che non si sarebbero mossi. E pertanto ogni progetto omicidiario andò in fumo».
Arena, sempre in riferimento alla figura di De Rito, ha anche parlato del «progetto di rapina ad un caveau di un Istituto di Vigilanza che poteva potenzialmente fruttare 700-800mila euro ma che anche questo naufragò perché non c’era la tempistica adeguata».
IL BUSINESS DEI RIFIUTI TOSSICI E LA PISTOLA AL PETTO DI DE RITO
Un altro affare che De Rito avrebbe proposto ad Arena e Pardea sarebbe stato quello dei rifiuti tossici: «Era l’estate del 2019 e ci chiese di entrare nel business dei rifiuti tossici perché aveva dei capannoni nella zona di Novara di alcuni amici suoi».
Altri capannoni De Rito «li ha avuti a Portosalvo dai Tripodi a 10mila euro al mese, come deposito per la sua lavanderia, nei quali sono stati scoperti rifiuti tossici (circostanza che il teste ha specificato di aver appreso dalla stampa in quanto era già collaboratore) ma – specifica – non so se siano stati posizionati da De Rito».
Il pentito rivela che De Rito lasciò il gruppo di Mantella per avvicinarsi a quello suo e di Pardea a seguito di un episodio avvenuto nel 2017: Domenico Macrì, detto Mommo, «una volta gli puntò la pistola contro al petto e il motivo era che non aveva saldato un debito che aveva con Andrea Mantella, ma l’arma però si inceppò, e da lì, pertanto, lui iniziò ad avvicinarsi a noi».
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