INDICE DEI CONTENUTI
VIBO VALENTIA – È stata la figura dell’avvocato-imputato Francesco Stilo al centro dell’udienza di ieri, l’ultima della settimana, del processo processo “Rinascita-Scott”. A parlare di lui il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, davanti al Collegio presieduto dal giudice Brigida Cavasino (a latere Gilda Romano e Claudia Caputo).
LA FIGURA DELL’AVVOCATO STILO
Arena racconta di aver iniziato a frequentarlo dopo l’accoltellamento di Palmisano, in quanto la ragazza presso cui si recava il giovane «lavorava proprio presso il legale. Inizialmente piaceva a Pardea, che la tolse dal bar in cui lavorava per farla entrare nello studio di Stilo, trovandole anche un appartamento. In occasione dell’accoltellamento di Palmisano, nel luglio 2016, questi si trovava nell’edificio in cui stava questa ragazza, Emanuela Chilla, e con la quale aveva una mezza relazione e in cui abitava lo stesso Pardea con la nonna. L’avvocato ci riferì che stava istruendo la giovane per farle dire ai carabinieri, che l’avevano convocata, di non sapere nulla dell’episodio ma in effetti ritengo che non potesse sapere alcunché. Noi avevamo comunque appreso, per il tramite del legale, che erano state formulate dagli investigatori domande su di me e su Pardea e Camillò».
LA SOSPENSIONE
Su questo aspetto, gli animi si sono surriscaldati in udienza a seguito di un acceso diverbio tra l’avvocato Pietro Chiodo, legale di Stilo, più volte invitato dal presidente del Collegio ad indossare correttamente la mascherina, il pm Frustaci e gli stessi giudici del Tribunale in ordine all’interpretazione di alcune frasi pronunciate dal collaboratore. Sovrapposizione di voci e animosità marcata nell’esporre la questione, soprattutto da parte del difensore, hanno spinto la presidente Cavasino ad interrompere momentaneamente l’udienza.
Tornata la calma, e risolti anche gli ormai noti problemi di collegamento, l’udienza è ripresa con la prosecuzione dell’argomento su Stilo, il quale «ci aveva riferito che non ci sarebbe stato problema per noi a seguito delle risposte offerte dalla Chilla ai carabinieri». Ma in generale «Stilo si prestava per portare un bigliettino ai detenuti da parte dei familiari o viceversa».
PARDEA IL “VOLONTARIO”
Tornando ai rapporti tra Francesco Antonio Pardea e l’avvocato Stilo, il pentito ha riferito che il primo stava cercando di ottenere la rivalutazione della pericolosità sociale e «il legale gli disse di trovare qualche struttura di volontariato in modo tale da poter attestare che stesse svolgendo attività di volontariato; quindi mi sono attivato con mia madre perché lavorava presso la “Casa di Nazareth”, ma lei mi rispose che in queste cose non voleva entrarci. Al che, sono andato a trovare la dirigente della struttura, Carmen Crupi, e far risultare che Pardea prestasse tale opera e lei lo fece, addirittura attestando una data retroattiva rispetto a quella effettiva. Ovviamente ad eccezione di un’unica occasione, Pardea lì non ci andò mai. So che anche altri soggetti erano iscritti in quella struttura, quali Paolo Lo Bianco e Damiano Pardea, ma nel loro caso non so chi si interessò. Ad ogni modo poi la questione della rivalutazione della pericolosità sociale non fu fatta».
I RAPPORTI DI ARENA CON STILO
Con l’avvocato, Arena aveva rapporti «solo per il tramite di Pardea. Che difendeva diversi imputati, tra cui anche quest’ultimo il quale mi diceva che Stilo era un soggetto che si prestava a portare messaggi ai detenuti in carcere e all’esterno. Stilo si vantava di accompagnare Giuseppe Accorinti nel momento in cui ad esempio doveva incontrare qualcuno a Lamezia, e si faceva “forte” del fatto di esserne il legale. Prima di rinvenire le microspie, determinati personaggi si recavano presso una stanza riservata del suo studio per parlare tra di loro anche se non penso che Stilo fosse a conoscenza dei dialoghi anche se era consapevole della circostanza».
Ed anche nei confronti di Arena, Stilo si sarebbe prodigato per «farmi ottenere tramite un amico un casellario giudiziale immacolato, visto che su di me c’era qualche precedente. Lui mi disse di averlo ottenuto ma non so se l’ha fatto veramente».
L’APPARTAMENTO OFFERTO AL GRUPPO
Il collaboratore ha riferito anche un’altra vicenda che avrebbe visto protagonista il professionista, vale a dire quando ci «diede disponibilità di uno dei due suoi appartamenti siti nei pressi del Tribunale nuovo per ospitare per 20-25 giorni, un certo Brizzi da Torino, soggetto pregiudicato, che veniva per il tramite a Vibo di Domenico Oppedisano con lo scopo di avviare un’attività di falsificazione di banconote che poi non avvenne. Tuttavia io non rivelai all’avvocato l’attività dell’ospite. Tra l’altro, ci disse che fossimo riusciti a venderli ci avrebbe dato una quota».
I RAPPORTI TRA RAZIONALE E ACCORINTI
È stato, questo, l’argomento trattato successivamente da Bartolomeo Arena: «Facevano parte del gruppo di ’Mbrogghjia commettendo omicidi negli anni ’80 per suo conto – ha affermato precisando di aver appreso la circostanza dal nonno ma anche da altri soggetti – Con loro c’erano anche i Vinci, Nazzareno Pugliese di San Costantino, Raffaele Fiamingo di Spilinga, i Mercuri, i Valenti e i Barbieri di San Calogero. Uno di questi omicidi fu quello di mio padre Antonio. Razionale ed Accorinti sono stati, inoltre, artefici della scomparsa di Roberto Soriano e di Antonio Lo Giudice».
Arena ha aggiunto che «pochissimo tempo prima dell’operazione “Nemea”, primavera 2018, Giuseppe Soriano aveva necessità urgente di trovare una bomba, attivabile con un telecomando, che aveva Francesco Antonio Pardea. Noi eravamo convinti che servisse far saltare in aria Peppone Accorinti perché i Soriano si erano messi sulle sue tracce visto che, per fare loro un dispetto, dimorava proprio nel loro territorio».
LA PISTOLA ALLA TEMPIA DI RAZIONALE
E ancora su Razionale, il collaboratore ha riferito di essere «intervenuto nel 2017, in occasione della sparatoria ai danni dei “Cassarola”. Macrì andò a trovare Razionale al quale aveva chiesto appoggio. Questi gli rispose: “Prima vedete voi quello che dovete fare e poi vi appoggio”, senza tuttavia esporsi prima». Razionale che «se la vide brutta in una occasione quando, nel corso di un incontro a tavola, Peppe Mancuso gli puntò la pistola alla testa ma non premette il grilletto per via dell’intercessione di Rosario Fiarè», circostanza, questa che il pentito ha detto di aver appreso da Francesco Antonio Pardea.
Episodio, questo, avvenuto prima del doppio tentativo omicidiario ai danni di Razionale, il primo a San Gregorio e il secondo a Briatico (nel 1995, ndr); attentati che secondo i pentiti sarebbero stati commessi da Roberto Soriano su mandato proprio di Mancuso. «In quella fase, invece Luigi Mancuso era in carcere ma poi ebbe ottimi rapporti con Razionale».
IL TERRITORIO DI PIZZO
Un territorio diviso tra «Rocco Anello e il fratello da un lato e i Bonavota dall’altro. E Rocco Anello è stato lui che ha costruito l’Eurospin di Pizzo anche perché lui ci andava a lavorare». Su Domenico Pardea, detto “Mimmu u Ranisi”, «criminalmente si muoveva a Pizzo con entrambe le due consorterie».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA