X
<
>

L'auto bruciata di Nicola Colloca

Share
4 minuti per la lettura

VIBO VALENTIA – Un epilogo scontato. Tutti assolti perché il fatto non sussiste. E così uno dei casi investigativi, non di criminalità organizzata, più delicati ed importanti dell’ultimo decennio, con tanto di riesumazione del cadavere della vittima, si scioglie ufficialmente come neve al sole.

Nessun omicidio si verificò tra il 25 e il 26 settembre del 2010. Quello di Nicola Colloca, l’infermiere 49enne il cui corpo venne trovato carbonizzato all’interno dell’Opel Corsa della moglie data alle fiamme, in una pineta al confine tra i comuni di Maierato e Pizzo.

Si trattò, infatti, di un suicidio, secondo quanto ha rilevato la consulenza conclusiva del perito incaricato dal giudice, sulla quale quest’ultimo ha concordato.

Il verdetto. Il primo sigillo è arrivato oggi pomeriggio dal gup di Vibo, Marina Russo, ed accoglie in pieno le richieste avanzate dai legali dei sette imputati finiti a processo con rito abbreviato (chi secco, chi condizionato ad una serie di consulenze); ma anche l’Ufficio di procura aveva avanzato simile verdetto soprattutto a seguito della perizia medico legale che era divenuta, di fatto, uno spartiacque che ha finito col decidere le sorti processuali degli indagati.

Che, come detto, escono di scena con la formula assolutoria più ampia. E sono Caterina Gentile, 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca, 29 anni, figlio dell’infermiere, Michele Rumbolà, 65 anni, di Vibo; Caterina Magro, 44 anni, nata a Vibo, ma residente a Terni, Nicola Gentile, 57 anni, di Vibo e Domenico Gentile, 45 anni, di Arena, cognati dell’infermiere.

Nicola Colloca

Per loro l’accusa era di concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Alla moglie, al figlio di Colloca e a Michele Rumbolà, veniva inoltre contestata la premeditazione del delitto, mentre a moglie e figlio della vittima anche l’aggravante di aver agito contro un familiare nei primi due reati. Abbreviato secco avevano invece scelto i coniugi Domenico Antonio Lentini, 59 anni, e Romanina D’Aguì, 55 anni, entrambi di Vibo Valentia, ed accusati di favoreggiamento personale per aver cercato, secondo l’accusa, di sviare le indagini fornendo false dichiarazioni ai carabinieri. I sette erano stati indagati nel novembre del 2017 dalla Procura di Vibo a seguito delle risultanze investigative condotte dai carabinieri.

La perizia finale. Dirimenti, come detto, le conclusioni della consulenza medico-legale disposta dal giudice e il rigetto della richiesta la richiesta avanzata dalla Procura di Vibo e dalla parte civile di rinnovazione di un’altra perizia medica. In particolare, il professore Pietro Tarsitano, già direttore del reparto di Medicina legale dell’ospedale Cardarelli e attualmente docente dell’Università di Napoli, aveva stabilito che quello di Colloca era un suicidio e non un omicidio per come sostenuto dalla pubblica accusa (e sempre dalla parte civile) sulla base della perizia dello specialista Arcudi (che aveva effettuato i primi accertamenti sul decesso), mentre il primo medico legale Katiuscia Bisogni aveva concordato con la tesi del suicidio.

L’ultima carta della procura e il “niet” del giudice. All’esito della stessa, sia il pm che la parte civile – soprattutto quest’ultima – avevano rilevato come le risposte fornite fossero parziali e non soddisfacenti, chiedendo inoltre un confronto tra il prof. Arcudi e lo stesso Tarsitano che era stata, anche questa, rigettata dal gup evidenziando l’impossibilità di una rinnovazione della perizia che può avvenire in casi di nullità, ritenendo che questa fosse esaustiva. A questo punto la Procura aveva ha chiesto la rinnovazione della consulenza balistica effettuata dal prof. Mancino nella quale si sosteneva che l’incendio fosse stato innescato da chi era all’interno dell’auto escludendo un’origine dall’esterno in quanto non erano stati rinvenuti elementi tali da avvalorare simile tesi.

Ad ogni modo, all’istanza del pm si erano opposte le difese in quanto le modalità del processo abbreviato consente di confrontarsi solo sullo stato degli atti e quindi l’unico atto istruttorio da compiere era la super perizia medico-legale di Tarsitano finalizzata ad accertare le cause del decesso. Chiusa quindi l’istruttoria, vi erano stati la requisitoria del pm Lotoro con la richiesta di assoluzione degli imputati, l’intervento della parte civile, nella persona dell’avvocato Diego Brancia (in rappresentanza dei familiari del 49enne originario di Vena Superiore) conclusasi con la richiesta di condanna per gli imputati, e quelli dei legali di fiducia di questi ultimi, ovviamente di assoluzione. Collegio di difesa composto dagli avvocati Pietro Chiappalone, Guido Contestabile, Salvatore Pronesti, Franco Muzzopappa, Vincenzo Gennaro e Bruno Ganino.

L’ipotesi accusatoria. In base alla prospettazione accusatoria, Nicola Colloca sarebbe stato colpito violentemente con un corpo contundente in testa, causando “un trauma cranico contusivo e fratturativo sulla porzione sinistra della volta cranica, produttivo di conseguenze encefaliche ed emorragiche”, con il cadavere che sarebbe poi stato trasportato nell’auto della moglie della vittima nella pineta e poi bruciato insieme alla stessa. E il movente, sempre in base alle indagini, era stato legato a questioni di eredità, 200mila euro che la vittima avrebbe messo da parte nell’arco della sua vita e che pare volesse tenere per sé. Ipotesi, tutte queste, che, come visto, non hanno retto al vaglio del consulente del giudice e di quest’ultimo.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE