Pietro Giamborino
4 minuti per la letturaLAMEZIA TERME (CATANZARO) – «La Banca d’Italia della ’ndrangheta» e l’ex consigliere regionale «battezzato dal clan». Gianfranco Ferrante da un lato e Pietro Giamborino dall’altro.
Sono le due figure sulle quali si è focalizzato ieri, a Rinascita-Scott, l’esame del pentito Andrea Mantella. Il primo, conosciuto per essere proprietario del Cin Cin bar di Vibo era «un broker che raccoglieva il denaro dalle cosche vibonesi, compresa la famiglia Mancuso, per distribuirli agli usurai» tra i quali Mantella colloca anche il consigliere comunale di Vibo Valentia, Antonio Curello, che non è imputato né risulta indagato.
Il titolo che il collaboratore affibbia a Ferrante è riferito alla sua amplissima disponibilità economica: «I soldi per le estorsioni che lui prendeva erano dirottati al sostentamento dei carcerati mentre, in stile Santa Claus, sotto le festività natalizie, consegnava ai capi più in vista regali da 1500-2000 euro più i cestini: dai Lo Bianco al mio gruppo, da quelli di Piscopio ai Bonavota».
E sarebbe stato sempre Ferrante a fare da anello di congiunzione tra Mantella e le vittime che dovevano versare all’emergente boss di Vibo una quota annuale. Come? È presto detto: «Quando partecipava alle bische faceva capire ai presenti, in modo velato e con modi garbati, che avrebbero dovuto pagare delle somme a me altrimenti avrei mandato i rapinatori e avrebbero preso tutti i soldi presenti sul tavolo verde ogni volta che queste persone si fossero riunite per giocare».
L’altra figura di cui ha riferito Andrea Mantella è stata quella di Giamborino: «Confermo di aver saputo che anche lui era “battezzato”; era marchiato, insomma.
L’ho conosciuto sempre come uomo di ’ndrangheta e l’ho sempre visto che si atteggiava come i malandrini e frequentava con suo zio Fiore la casa di Carmelo Lo Bianco, oltre ad accompagnarsi con Francesco D’Angelo, alias “Ciccio Ammaculata”, a capo della Locale di Piscopio. Quando si parlava di ’ndrangheta con don Paolo d’Elia, soggetto di primo rango della massoneria deviata con entrature anche nel Crimine di San Luca, c’era anche lui, oltre ad essere era amico fedelissimo dell’estremista della Locale di Piscopio, Michele Patania».
E a «disposizione» di Mantella, Giamborino si sarebbe messo «sponsorizzando il noleggio di una ditta di autocompattatori della spazzatura nella società “Proserpina”; e così con il trasporto dei rifiuti, tramite l’utilizzo di nostri tre camion, ci fregammo un sacco di soldi, che ricevevamo durante le feste comandate, dividendoli tra il mio gruppo e quello di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”».
Pur non ricordandosi la tipologia di competizione elettorale, Mantella ha parlato diffusamente della vicenda e del presunto interessamento per cercare voti a favore dell’imputato: «Invitai mio cugino e altre due persone, a reperire dei voti per Giamborino perché ci sarebbe potuto tornare sempre utile, ma io non sono mai stato un suo procacciatore di voti. So comunque che mio cugino si prodigò per raccoglierli. Ritenevo che fosse meglio avere lui al potere e non una persona che non conoscevo in quanto avremmo fatto leva sulla rete di amicizie».
Insomma, in occasione della competizione elettorale, a «favore di Giamborino sono scese in campo tutte le forze armate della ’ndrangheta: Razionale, i piscopisani, gli stessi cugini Giamborino, Pinu u Papa, Galati e i fratelli D’Amico della Dmt Petroli (finiti recentemente nell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Petrolmafia”, ndr)».
Intanto ieri si è registrata una importante novità. Due verbali, stesso fatto, stessa accusa: rivelazione di segreto d’ufficio. A riempirli il collaboratore di giustizia di Rocca di Neto, Francesco Oliverio, 51 anni, di Belvedere Spinello, provincia di Crotone, detto “il lupo”, in passato esponente di spicco della ’ndrina “Oliverio-Marrazzo-Ionà”. Il pentito avrebbe accusato due magistrati di primissimo piano che con le loro inchieste hanno inferto colpi durissimi alla ’ndrangheta.
Uno ha lavorato per la Direzione nazionale antimafia e l’altro sarebbe in servizio alla Dda di Milano. I verbali di interrogatorio resi dal pentito sono finiti per competenza giurisdizionale al vaglio della Procura di Salerno e a quella di Brescia.
Tutto ciò è emerso quando ha preso la parola l’avvocato Salvatore Staiano chiedendo al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto da Brigida Cavasino l’acquisizione dei verbali o, in alternativa, che il collaboratore di giustizia venga risentito nel maxi processo. I giudici si sono riservati la decisione.
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