Soumayla Sackò, ucciso il 2 giugno del 2018
3 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – «La volontà omicida è indiscutibile: attingendo da quella distanza tutte e tre le vittime il giudicabile aveva mostrato ampia esperienza nell’uso dell’arma in dotazione e, con essa, piena consapevolezza in ordine alla capacità lesiva del munizionamento. La cartuccia a pallettoni era per struttura letale e se lo scopo fosse stato quello di una mera intimidazione, sarebbe stato sufficiente dirigere i colpi verso l’alto, come invece non era stato».
Questo uno dei passi più significativi delle motivazioni della sentenza depositate dalla Corte d’Assise che l’11 novembre dello scorso anno ha condannato il 46enne Antonio Pontoriero, di San Calogero per l’omicidio del 27enne maliano e sindacalista dell’Usb, Soumayla Sackò, il 2 giugno del 2018. Un omicidio. che aveva valicato i confini regionali per le modalità con le quali era stato commesso, scatenando proteste nel mondo sindacale e soprattutto degli extracomunitari residenti a Rosarno.
Sullo sfondo, ma non troppo, la location nel quale fu consumato il delitto: un sito industriale dismesso e sequestrato anni addietro a causa della presenza di rifiuti pericolosi che hanno minato l’integrità del terreno sottostante: l’ex Fornace di località Tranquilla, a Calimera di San Calogero, ricettacolo di rifiuti di ogni genere, anche pericolosi.
Centrale, ai fini del riconoscimento della responsabilità di Pontoriero (difeso dagli avvocati Francesco Muzzopappa e Salvatore Staiano), la testimonianza di Dramè Madieri, amico della vittima e presente con lui sull’ex sito industriale al momento degli spari. Erano andati, insieme ad un altro soggetto, a recuperare delle lamiere per realizzare la propria capanna a San Ferdinando quando partirono i colpi. Pontoriero fu arrestato pochi giorni dopo dai carabinieri sulla base di una serie di elementi che poi, come visto, hanno retto al vaglio della Corte che nei confronti dell’imputato ha emesso una condanna a 22 anni di reclusione.
La deposizione della fonte oculare è risultata, secondo i giudici, caratterizzata «da assoluta spontaneità e genuinità – scrivono i giudici – nonché da sostanziale coerenza narrativa, oltre che priva di elementi di illogicità ed inverosimiglianza». Un teste che «non aveva preconoscenza dell’imputato, di talché “non può adombrarsi la ricorrenza di alcuna intenzione calunniosa” ma anzi se ne “attesta della sua assoluta buona fede”».
Nei precedenti giorni 5 e 22 di maggio i carabinieri erano intervenuti sul sito dismesso per denunciati furti di lamiere proprio su iniziativa di appartenenti della famiglia Pontoriero, in specie Antonio e Francesco. «Dunque l’imputato, come i suoi familiari, esercitava all’evidenza una abusiva signoria sull’area dismessa e sequestrata, tanto da aver già in passato attuato iniziative volte ad impedire la sottrazione delle lamiere, usualmente prese di mira dai residenti della tendopoli di Rosamo, così da manifestare serio e concreto interesse alla conservazione dei beni, sui quali proprio la vittima unitamente ai suoi due compagni aveva inteso pone mano».
La Corte evidenzia ancora in sentenza che «a conferma dell’animus necandi la circostanza che l’azione del Pontoriero non si fosse fermata nemmeno dopo che il Somalia, chiaramente avvistabile dalla sua posizione, era caduto in terra colpito al capo: tanto a dimostrazione dell’assoluta accettazione, nella rappresentazione e volizione del soggetto agente, dell’evento morte quale possibile conseguenza della sua azione».
D’altronde, rilevano ancora i giudici, ove si fosse trattato di errore esecutivo, l’imputato “avrebbe interrotto l’azione: ed invece la `”caccia” era continuata, con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle vittime la sua “punizione”». Dunque, Corte, alla stregua dì quanto sopra osservato, ha affermato la penale responsabilità dell’imputato «in ordine ai reati al medesimo ascritti, che devono ritenersi unificati sotto il vincolo della continuazione, atteso che si era trattato di un’azione deliberatamente posta in essere per punire i sottrattori delle lamiere».
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