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VIBO VALENTIA – Giuseppe Carnovale era capace di intendere e volere quando uccise il cognato Massimo Ripepi?
A rispondere a tale fondamentale domanda sull’esito del processo per omicidio che si sta svolgendo in d’Appello, davanti la Corte d’Assise sarà un consulente tecnico d’ufficio.
Questo perché i magistrati (presidente Cosentino, a latere Mellace) hanno accolto la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale avanzata dall’avvocato Adele Manno, legale dell’imputato già condannato a 21 anni in primo grado al termine del processo con rito abbreviato.
Istanza sulla quale ha espresso parere conforme il sostituto procuratore generale Luigi Salvatore Maffia, e tesa a verificare la ricorrenza di un vizio parziale di mente dell’imputato al momento del delitto avvenuto a Piscopio la domenica del 21 ottobre 2019.
A questo punto, il processo è stato rinviato al fine febbraio per il conferimento dell’incarico, da parte della Corte, al perito.
L’OMICIDIO
Alle 13.30 del 21 ottobre arriva una chiamata alla sala operativa dell’Arma da parte di un residente di Piscopio che raccontava, allarmato di aver udito il rumore di diversi colpi di pistola. Immediato, quindi, l’intervento dei carabinieri che avevano inviato alcune pattuglie nel piccolo borgo. Una volta sul posto era stata notata la presenza del corpo di Massimo Ripepi, a pochi passi dal circolo ricreativo, teatro della prima parte dell’omicidio. La vittima stava infatti giocando a carte con altri avventori quando è giunto il killer, a volto scoperto, che aveva iniziato a sparare verso di lui. Esploderà in tutto nove colpi, tre dei quali andranno a segno. Il 42enne venne colpito alle gambe all’interno del locale, tuttavia, ancora in grado di muoversi, riesce a fuggire all’esterno, compiendo, però, soltanto pochi metri. È qui che stramazzerà al suolo dopo il colpo alla schiena all’altezza del fegato e del rene.
Quindi la fuga e l’irreperibilità per tre giorni dell’autore reo confesso. Il motivo dell’uccisione di Ripepi risiederebbe nel voler vendicare le violenze di quest’ultimo nei confronti della moglie e dei figli che già gli erano valsi un tentativo omicidiario a suoi danni messo in atto da un altro figlio, appena un anno prima, a Vibo.
Carnovale, titolare di un’attività commerciale, si era consegnato ai carabinieri, accompagnato dal proprio legale di fiducia assumendosi la paternità del gesto.
Nell’inchiesta che aveva portato all’arresto di Carnovale, è stata archiviata la posizione del nipote, figlio della vittima, scagionato da ogni responsabilità proprio dallo zio al momento dell’interrogatorio davanti al pm e nelle fasi successive.
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