4 minuti per la lettura
VIBO VALENTIA – È passato un anno esatto. Dodici mesi da quel 19 dicembre che fece la storia non solo della provincia di Vibo, ma dell’intera Penisola. Tremila carabinieri, 334 ordinanze di custodia cautelare, 260 in carcere, 70 ai domiciliari e 4 divieti di dimora, 416 indagati in tutto.
Questi i numeri mastodontici della maxi inchiesta coordinata dal procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri che, la mattina del 19 dicembre del 2019, ha disarticolato le maggiori famiglie mafiose del Vibonese a cominciare da quella di riferimento, i Mancuso di Limbadi, in ottimi rapporti con i De Stefano di Reggio Calabria ed i Piromalli di Gioia Tauro, ed a capo del “Crimine” della provincia di Vibo Valentia con compiti di collegamento con la provincia di Reggio e il crimine di Polsi, vertice assoluto della ‘ndrangheta unitaria.
Ma ad essere stata maggiormente colpita è stata la consorteria di Lo Bianco-Barba operante nel territorio del capoluogo di provincia e formata da decine e decine di accoliti. Numeri che adesso sono aumentati con la conclusione indagini, arrivando a toccare quota 479.
“Rinascita-Scott” è il nome dato ad un’indagine che entra di diritto nella storia, la storia della lotta alle consorterie mafiose, la storia di sacrifici degli investigatori, di notti insonni, appostamenti, intercettazioni, riscontri ai racconti dei pentiti. E alla fine il risultato è quello cristallizzato, appunto, nei numeri. Politici, professionisti del Foro, commercialisti, funzionari infedeli dello Stato e massoni figurano tra i soggetti coinvolti.
Tra loro anche l’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli, accusato di associazione mafiosa che, secondo gli investigatori, “avrebbe messo sistematicamente a disposizione dei criminali il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni, anche per acquisire informazioni coperte dal segreto d’ufficio e per garantirne lo sviluppo nel settore imprenditoriale”. Dalle indagini sarebbero emersi anche i rapporti diretti tra Pittelli, iscritto al Grande Oriente d’Italia, e Luigi Mancuso, uno dei boss dell’omonima organizzazione mafiosa.
Sempre tra gli arrestati anche il sindaco di Pizzo e presidente di Anci Calabria, Gianluca Callipo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, l’ex consigliere regionale del Pd Pietro Giamborino (ai domiciliari per usura e corruzione elettorale) e il segretario del Psi calabrese Luigi Incarnato (domiciliari).
Coinvolti, poi, l’ex parlamentare ed ex assessore regionale del Pd Nicola Adamo che avrebbe accettato di intercedere con il Tar, “sfruttando la propria relazione con il giudice Nicola Durante”, presidente della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, per “sostenere la posizione processuale” di un imprenditore catanese in cambio della proposta di ricevere 50mila euro come “prezzo della sua mediazione illecita”.
Coinvolti anche l’ex comandante del reparto operativo dei carabinieri di Catanzaro Giorgio Naselli e i comandanti dei vigili urbani di Vibo Valentia e Pizzo.
L’operazione coordinata dal procuratore capo della Dda, Nicola Gratteri, dai sostituti Camillo Falvo, Annamaria Frustaci, Antonio Di Bernardo e Andrea Mancuso, e condotta dai carabinieri di Vibo Valentia e del Ros di Roma, ha disarticolato tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi.
Le accuse mosse a vario titolo sono associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose. Importante anche il valore dei beni sequestrati: circa 15 milioni di euro. Dall’inchiesta è arrivata una ulteriore conferma dell’unitarietà della ’ndrangheta.
A giugno scorso la conclusione delle indagini con 479 persone coinvolte, poi scese a 456 prima dell’udienza preliminare svoltasi nelle fasi iniziali presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia. Sì, perché in Calabria, o meglio nel Meridione, non c’era, ad eccezione di Palermo, una location in grado di ospitare oltre 600 tra parti processuali ed imputati. Poi la svolta con la disponibilità della Fondazione Terina a concedere i locali in comodato d’uso per tre anni siti nell’area industriale di Lamezia Terme. Quindi i lavori di adeguamento costati quasi 5 milioni di euro.
Tutto questo mentre, agli inizi di questo mese di dicembre, si è arrivati all’ulteriore step con il rinvio a giudizio di quasi tutti gli indagati e la suddivisione in cinque tronconi tra Vibo (Lamezia), Cosenza e Catanzaro. I dibattimenti avranno inizio tra gennaio e aprile del prossimo anno in quello che è stato ribattezzato il più grande procedimento penale dopo il maxiprocesso di Palermo contro “Cosa nostra”. Un processo che, appunto, farà storia.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA