L'aula di udienza del maxi processo Rinascita Scott
3 minuti per la letturaROMA – Come anticipato nell’edizione di ieri, ci sono due nuovi collaboratori di giustizia nel Vibonese (LEGGI). È questa la novità sostanziale che la prima fase dell’udienza preliminare di Rinascita-Scott, che si sta svolgendo in questi giorni nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, a Roma, porta in dote.
Novità che potrebbe aprire rilevanti sviluppi nella lotta alle cosche vibonesi. I due nuovi pentiti – i cui verbali sono stati versati dalla Dda di Catanzaro – sono Michele Camillò, giovane esponente del gruppo criminale guidato da Domenico “Mommo” Macrì, figlio di Domenico Camillò, ritenuto a capo della ‘ndrina di Vibo, e vicino all’altro pentito Bartolomeo Arena, e Gaetano Antonio Cannatà, altro componente del sodalizio. Ma c’è di più; la pubblica accusa rappresentata dal procuratore capo Nicola Gratteri ha depositato anche le dichiarazioni di Domenico Camillò, il quale però, a quanto pare, non è attualmente inquadrato come collaboratore. Inoltre, sempre la Dda ha annunciato il deposito di altre dichiarazioni, quelle rese dal giudice Marco Petrini nei confronti dell’avvocato Giancarlo Pittelli, coinvolto nell’indagine, ed ammesso al rito immediato che si svolgerà il 9 novembre al tribunale di Vibo.
Di Michele Camillò, alias “Mangano”, 38 anni, di Vibo, imputato in Rinascita per armi, danneggiamento, estorsione, parla molto proprio Arena che lo conosceva molto bene. Di lui rivelava che «è partecipe fin dal 2012 del gruppo fondato da suo padre, iniziando da Camorrista. Io ho partecipato alla sua affiliazione ed al conferimento di tale dote, tant’è che porta il mio nome nella sua copiata. Si occupa prevalentemente dello spaccio di cocaina, unitamente a Costantino Panetta di professione elettrauto, il quale è suo socio in un negozio di sigarette. Era solito commettere danneggiamenti in quanto era abile ad incendiare le auto con la diavolina. Ricordo che la polizia municipale di San Costantino Calabro aveva elevato una sanzione amministrativa a mio zio Domenico Camillò. Mi presi a cuore personalmente di scoprire chi fosse l’autore di tale multa e, una volta scoperto, mio zio mandò il figlio Michele ed Antonio Chiarella ad incendiare l’auto del vigile urbano».
Arena riferiva poi che Camillò fu mandato dal padre a «fare un danneggiamento alla sorella del dottore Soriano, la quale fa parte della Commissione sanitaria che si occupa di riconoscere l’invalidità. A quest’ultima incendiò un’autovettura Citroen,vicino alla Casa di Nazareth, sotto il Castello di Vibo Valentia. Il movente era da ricondurre al fatto che la sanitaria non aveva esaudito una richiesta avanzatagli da Domenico Camillò, padre di Michele, ritengo in merito ad una raccomandazione per la concessione di una pensione di invalidità. Sempre Michele, unitamente a Marco Pardea, ha incendiato un’autovettura Fiat Bravo di Orazio Lo Bianco, in quanto legato ai Cassarola. I primi due hanno anche incendiato l’autovettura a tale Giacinto Grillo, dipendente del Tribunale di Vibo Valentia, per fare un favore al fratello Giuseppe Camillò».
Michele Camillò viene poi indicato quale responsabile dell’intimidazione ai danni del parrucchiere Mimmo Russo presso il cui negozio lasciò delle munizioni e di essere l’autore della sparatoria presso l’abitazione di Crudo, dei marmi.
Di Gaetano Antonio Cannatà, 46 anni, di Vibo, alias “Sapituttu”, parla sempre il collaboratore Arena. Già coinvolto in una operazione antiusura, viene indicato quel «parente dei D’Andrea di Vibo ed è stato arrestato nell’operazione per usura eseguita a seguito delle denunce sporte da Barone. In una circostanza ricordo di avergli venduto una 9×21 per 1.400 euro che io avevo acquistato da Angelo Andreacchi. La pistola serviva per un suo amico, tale Marando di Rosarno, coinvolto nella stessa operazione in cui è stato arrestato Cannatà. So che è sotto usura di Pino Barba inteso come “Pino Luna” fratello di Enzo il “Musichiere” e che è attualmente detenuto». Di Cannatà scrivono gli investigatori: «La sua appartenenza alla consorteria dei Lo Bianco, quale soggetto dedito stabilmente al giro di usura a vantaggio della cosca e di esercenti, in via di fatto, esercizio del credito chiaramente abusivo, emerge in prima battuta dalle dichiarazioni di Andrea Mantella che nell’interrogatorio del 21 ottobre 2016 chiariva che i Lo Bianco, dopo l’operazione “Nuova Alba”, praticavano prevalentemente usura».
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