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VIBO VALENTIA – MANO pesante del gup distrettuale Barbara Saccà nei confronti dei presunti vertici e gregari del clan Bonavota di Sant’Onofrio chiamati a rispondere degli omicidi di Raffaele Cracolici, alias Lele Palermo, e di Domenico Di Leo, soprannominato “Micu u Catalanu”, avvenuti tra il 2004 e il 2005 tra l’Angitola e Sant’Onofrio.

In buona parte il magistrato ha accolto le richieste di pena avanzate dal pm della Dda, Antonio De Dernardo, ed inflitto il carcere a vita ai tre fratelli Bonavota, Pasquale, considerato a capo del sodalizio, Domenico e Nicola ed a Onofrio Barbieri, tutti ritenuti coinvolti nei delitti Di Leo e Cracolici, ad eccezione del solo Domenico per quest’ultimo fatto di sangue in quanto assolto nel processo “Uova del Drago”).

Diverse le pene a carico degli altri imputati, tuttavia Francesco Fortuna, indicato quale partecipe all’assassinio di Cracolici, incassa una condanna a 30 anni di reclusione. Quattro sono stati, invece, gli anni inflitti a Domenico Febbraro e Giuseppe Lopreiato, anche loro di Sant’Onofrio.

Il primo era accusato di aver esploso undici copi di pistola all’indirizzo del cancello di ingresso della struttura ricettiva “Popilia Country Resort”, e il secondo, presunto autista di Domenico Bonavota (ritenuto il mandante della sparatoria), di averlo accompagnato sul posto; quattro anni anche nei confronti di Vincenzino Fruci, di Acconia di Curinga mentre 2 anni e 4 mesi sono stati comminati al collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, di Acconia di Curinga. Regge quindi nella sua interezza il castello accusatorio messo in piedi dalla Direzione distrettuale antimafia sulla scorta delle risultanze investigative dei carabinieri di Vibo puntellate dalle rivelazioni del pentito Andrea Mantella, la cui posizione è stata stralciata.

L’ex boss di Vibo ha offerto una più approfondita chiave di lettura agli inquirenti in ordine sia al delitto di “Lele Palermo”, del quale ha rilasciato dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie (e del quale era stato assolto in “Uova del drago”), che di quello di “Micu u catalano” di cui anche in questo caso fu autore materiale insieme a Francesco Fortuna che venne incastrato soprattutto attraverso l’esame del dna su un guanto trovato sul luogo dell’agguato avvenuto il 12 luglio del 2005, appena un anno prima di quello di Cracolici (4 giugno del 2004). Di Leo e Cracolici erano due pedine su una scacchiera criminale destinate ad essere mangiate.

Due figure da eliminare a tutti i costi per avere campo libero su tutta la vasta e fiorente zona compresa tra Sant’Onofrio, Maierato, Angitolano e Pizzo. Il clan Bonavota insieme a quello degli Anello-Fruci aveva iniziato la propria crociata di morte verso i rivali e “Lele Palermo” (e prima ancora il fratello Alfredo), boss di Maierato, era sulla black list. Troppo fastidio arrecavano le sue incursioni nella appetitosa area industriale in piena espansione. Ecco perché la sua uccisione faceva gola a molti. E così, la mattina del 4 giugno del 2004, all’uscita dell’azienda florovivaistica lungo la Statale 18, all’Angitola, fu freddato a colpi di fucile e kalashnikov.

Domenico Di Leo fu ammazzato mentre di trovava nella sua minicar da parte delle persone che erano state fino a poco tempo prima suoi sodali. Anche lui pagò le sue mire autonomiste cercando di creare un proprio gruppo. Ma Sant’Onofrio era troppo piccolo per un altro gruppo che non fossero quello dei Bonavota e dei Bartolotta. Ma mentre questi ultimi si sarebbero riorganizzati con gli anni a venire, i primi erano già operativi e misero in atto la spedizione appoggiandosi nuovamente a Mantella.

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