Andrea Mantella
2 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Una conversione, come una folgorazione “sulla via di Damasco” e di colpo la decisione di chiudere con quella vita di violenza iniziata da ragazzino e proseguita, con un’ascesa inarrestabile, fino a diventare il capo di un gruppo che dettava legge sulla città, che decideva chi doveva vivere e chi no.
E’ un particolare inedito quello che Andrea Mantella, ex boss di Vibo, rivela al processo che vede imputati Guglielmo Ciurleo, Vincenzo e Franco Teti e Francesco Cracolici per la presunta usura, estorsione e danneggiamenti, con l’aggravante mafiosa, ai danni dell’imprenditore Nunzio Buttafuoco, costituitosi parte civile e rappresentato dall’avvocato Giovanna Fronte.
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“A Guscia”, questo il suo soprannome, dal maggio del 2016 è un collaboratore di giustizia. Ha chiuso con il crimine per scelta, forse anche per necessità, sicuramente, per come ha affermato ieri in udienza, per un «evento straordinario»fino ad oggi rimasto celato: «Fu una decisione dettata dalla necessità di cambiare vita dopo aver scontato la condanna per associazione mafiosa nell’ambito del processo “Goodfellas”; nessun fatto personale mi ha spinto a farlo, ho solo voluto liberarmi dei fardelli che portavo. E poi anche perché mi è successo un fatto straordinario, un fatto “spirituale”: andavo in chiesa, e in un’occasione, ad un certo punto, ho visto la Madonna e da lì ho deciso di pentirmi. Insomma un’apparizione secondo Mantella, come detto una “folgorazione sulla Via di Damasco” alla base della sua scelta.
Quella di chi divenne «sgarrista minorenne dopo tre omicidi mentre ora invece queste cariche le regalano, è una barzelletta», riferirà ancora: «Una volta scontata la pena e tornato in libertà avrei dovuto uccidere chi aveva ammazzato Francesco Scrugli (il suo braccio destro, ndr) ma questo avrebbe finito col contrastare con ciò che mi era successo. E quindi chiusi col passato e un mese prima di uscire dal carcere iniziai a collaborare con la Dda di Catanzaro».
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