La Corte di Cassazione
2 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – “Il clan imprenditoriale”. Questa l’investitura data dai vertici della Dda di Catanzaro quel giorno di maggio di quattro anni fa alla cosca Tripodi. Un’organizzazione con tentacoli che da Vibo, dov’era nata, si sviluppavano fino alla Capitale politica, fino alla Roma dei grandi appalti, delle personalità influenti, delle stanze del potere, e poi in quella economica del Paese, quella delle grandi opportunità e degli affari: Milano.
Ne ha fatta tanta di strada il clan di Portosalvo e Vibo Marina. Allontanato dalla famiglia Mancuso negli anni ’80 – ’90 con la quale era stato alleato prima che sorgessero le frizioni nei rapporti, la cosca ha mutato la propria “immagine”, divenendo camaleontica agli occhi delle persone ma non di quelle attente che ne hanno messo i capi in carcere e della quale adesso anche i magistrati hanno riconosciuto l’esistenza in via giudiziaria. È di ieri notte infatti la sentenza della Cassazione con la quale ha confermato il verdetto emesso il 26 aprile 2016 dalla Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti degli imputati coinvolti nell’operazione antimafia “Lybra” (LEGGI LA NOTIZIA). Solo due annullamenti con rinvio per un nuovo processo di secondo grado sempre a Catanzaro.
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Per un solo imputato però riguarderà unicamente la rideterminazione della pena, pur avendo, i giudici, ritenuto provate le accuse. Si tratta di Massimo Murano, 44 anni, di Busto Arsizio, condannato a 3 anni in Appello. L’altro annullamento con rinvio è è a carico invece di Francesco Lo Bianco, 43 anni, di Portosalvo. Per lui, in secondo grado, un verdetto di due anni e 8 mesi e adesso un nuovo processo d’appello.
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Diventano invece definitive le condanne a Nicola Tripodi, 8 anni di carcere; Salvatore Vita, 42 anni, di Vibo Marina (9 anni); Gregorio De Luca, 39 anni, (2 anni e 8 mesi); Antonio Tripodi (7 anni e 6 mesi); Sante Tripodi (6 anni e 8 mesi), questi ultimi due fratelli di Nicola, considerato il vertice del sodalizio.
Nel Collegio dei difensori gli avvocati Guido Contestabile, Antonio Porcelli, Domenico Anania, Anselmo Torchia, Sergio Rotundo, Vincenzo Gennaro e Salvatore Staiano.
Associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, frode nelle pubbliche forniture, usura, rapina ed estorsione i reati, a vario titolo, contestati ai componenti del sodalizio mafioso che comunque non disdegnava di far sentire la sua presenza anche nel suo territorio di origine: Vibo Valentia, con in particolare i lavori del post alluvione del 2006 a Vibo Marina. Insomma consorteria a base familiare ma con sodali fedeli, una grande disponibilità economica (furono infatti sequestrati beni per 37 milioni di euro) e alleanze importanti (Bonavota, gruppo Mantella, Piscopisani, ecc.), quella dei Tripodi, per lungo tempo sottovalutata fino all’inchiesta avviata in orgine dal Luogotenente Nazzareno Lopreiato, memoria storica delle dinamiche criminali nel Vibonese, e ripresa dal pm Pierpaolo Bruni il quale coordinò, nel maggio del 2013, il blitz delle forze dell’ordine. In precedenza era “Atlantide” ma poi il nome venne cambiato in “Lybra”. Mutava la forma ma non la sostanza.
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