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Il luogo della strage

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VIBO VALENTIA – La sentenza, come spesso avviene, è arrivata a tarda sera. La Cassazione ha deciso: sentenze d’appello confermare. E così si è scritta la parola fine su uno degli episodi più cruenti verificatisi nel Vibonese: la “Strage della Masseria”.

La ‘ndrangheta in questo caso non c’entra nulla, il motivo era infatti inerente ai pascoli abusivi e alle invasioni di terreno che le vittime, i cinque componenti della famiglia Fontana, erano soliti mettere in atto ai danni dei quattro imputati, i Vangeli, in quello spicchio di fondo agricolo in località “Olivara” nella frazione Scaliti del comune di Filandari. Quella sera del 27 dicembre di sei anni fa tra gli ulivi secolari si scatenò l’inferno di fuoco.

I giudici della suprema Corte erano chiamati ad esprimersi sui ricorsi presentati dai fratelli Ercole e Francesco Saverio Vangeli, da Pietro Vangeli, figlio di quest’ultimo e dal cognato Gianni Mazzitello, i primi due condannati all’ergastolo mentre gli altri a 13 anni e 10 mesi (LEGGI LA SENTENZA DI APPELLO). Il processo era già approdato una prima volta in Cassazione ma i magistrati avevano ritenuto insussistente l’aggravante della premeditazione riconoscendo invece l’attenuante della provocazione nonché l’assenza di prova in ordine al concorso morale dei due giovani.

Si era, pertanto aperto un nuovo procedimento davanti alla corte di Assise d’Appello che aveva portato alla conferma del carcere a vita per i due capifamiglia e rideterminato le pene per gli altri due imputati (da 14 anni e 5 mesi a 13 e 10 mesi). In quell’occasione era stata, sì, riconosciuta la provocazione ma ha prevalso l’aggravante della premeditazione per Ercole e Francesco, esclusa invece per Pietro Vangeli e Mazzitello. Nell’udienza di ieri il procuratore generale, così come il patrono di parte civile, l’avvocato Giuseppe Bagnato, ha chiesto il rigetto dei ricorsi presentati dagli imputati per il tramite degli avvocati Nicola Riso, Domenico Talotta, Valerio Mangone e Giancarlo Pittelli che avevano invocato invece l’accoglimento.

A tarda sera, come detto, la determinazione degli “ermellini” con le condanne passate ormai in giudicato. I due padri id famiglia sono identificati quali esecutori del massacro, compiuto con pistole 7.65 e 9×21, costato la vita a Domenico Fontana ed ai figli Pasquale, Pietro, Emilio e Giovanni, rispettivamente di 61, 37, 36, 32 e 19 anni. Il movente, secondo questa ricostruzione, è stato sempre ricondotto ai pessimi rapporti di vicinato tra i Vangeli (considerati le vere vittime) e i rivali, con i primi che hanno subito per anni i costanti e violenti soprusi dei secondi e che, ad un certo punto, non hanno più retto una simile situazione ed hanno reagito in modo così eclatante.

Angherie che le vittime avevano reiteratamente commesso nei confronti degli imputati, persone notoriamente pacifiche e senza precedenti, che per il pm Michele Sirgiovanni (che ha imbastito il castello accusatorio) non potevano, tuttavia, costituire attenuanti di fronte alla gravità del fatto.

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